MedFilm Festival 2012 / The Invisible Policeman

Prosegue incessante il ritmo del Med Film Festival, tra documentari e cortometraggi, passando per il concorso e le vetrine. Passo incalzante che non lascia momenti di respiro, le riflessioni giungeranno al termine, nel momento in cui ci si renderà conto di quanto questa manifestazione lasci di sé nella mente dello spettatore. Storie diverse, lontane chilometri o anni, si insinuano nella mente formando spesso pensieri unici, di inadeguatezza o di ignoranza, di presa consapevolezza o di desiderio di ribellione. Quasi sempre quel pensiero assumerà i contorni di un profondo arricchimento, di un’immersione seppur fugace in un mondo altro, lontano da qui e dall’ora. In passato fu la Primavera araba con le sue scorie di rabbia e violenza, potrebbe essere ora la quiete – apparente – dopo la tempesta, il riequilibrio democratico (?) post-rivoluzionario; tutto questo ed altro ancora. Ma un pensiero che possa crescere sotto i crismi della compiutezza, dopo fruito di una manifestazione sul cinema mediterraneo, non può fermarsi alle esperienze dei paesi del Maghreb, non può vivere sul riflesso di ciò che avvenne – oramai – due anni fa. Deve scandagliare oltre, deve guardare anche altrove.

Arriva dunque The Invisible Policeman, documentario figlio di una coproduzione Palestino-giordana: un film clamorosamente frustrante nella sua irrazionalità. Abu Sa’eed è un uomo di 41 anni, padre di nove figli e poliziotto nella vecchia città di Hebron, uno dei siti più antichi di tutto il Medio Oriente, abitato nella stragrande maggioranza da cittadini palestinesi. La sua vita è divisa nettamente tra doveri e diritti, tra l’essere un uomo in uniforme e un padre di famiglia. La città vecchia fa da sfondo perenne al racconto, diventandone una coprotagonista involontaria e vivissima. Momenti di grande intimità familiare si contendono la scena con la totale assenza di logica che penetra nella vita di chi è costretto a far seguire regole che prevedono che lui stesso debba abbandonare la casa nel quale è cresciuto ed ha cresciuto i propri figli. Un contrasto continuo e straziante, una contesa tra lo strazio di uno sfratto e la dolcezza di un sorriso di tre bambine che si recano a scuola.

Il film di Laith al-Juneidi – come dicevamo – esce dal cammino di ciò che fin qui il Med ci ha insegnato ad osservare, raccontando una storia di follia ordinaria, piuttosto che straordinaria, non lesinando però spunti di altissimo interesse. Il punto su cui si potrebbe discutere è altrove: The Invisible Policeman è – o potrebbe essere – materiale potentissimo, che probabilmente non sfrutta fino in fondo quelle che sono le sue potenzialità, restando sulla superficie di una narrazione che avrebbe potuto consegnare allo spettatore molto di più, andando ad approfondire tematiche con cui il fruitore occidentale difficilmente riesce a confrontarsi.

Autore: Marco Giacinti
Pubblicato il 29/01/2015