MedFilm Festival 2012 / Habiter-Construire

Se è vero che il nome è una sineddoche esistenziale, allora Habiter/Construire ne ha uno perfetto, un titolo che nella sua forma duale ben raccoglie la dicotomia su cui si fonda prevalentemente l’opera prima di Clémence Ancelin, documentario proiettato in concorso all’ultimo MedFilm Festival e visto precedentemente alla Berlinale nella sezione Forum.

Presentato dalla stessa giovane regista in sala, il lavoro nasce dalla possibilità di seguire da vicino i lavori che una società francese sta compiendo in Ciad, ovvero la costruzione di una strada che attraversi il deserto. Un lungo cantiere questo che in una zona geografica del genere non può che portare a conseguenza enormi, a partire dalle massicce emigrazioni di decine e decine di persone in cerca di lavoro. Nonostante ciò il documentario di Ancelin non prende la strada di indagine sociale che sarebbe lecito aspettarsi da uno spunto del genere, preferendo ad uno sguardo di ricostruzione giornalistica il ruolo di testimonianza antropologica. La cosa che più caratterizza – e dona valore – a questo lavoro è proprio la scelta di non essere un lavoro fatto su gli abitanti che ruotano attorno al cantiere stradale, ma con loro. Lo sguardo di Habiter/Construire è sempre rigorosamente orizzontale, non interessato ad analizzare dall’alto l’impatto della nuova strada sugli equilibri economico-sociali della popolazione locale, bensì a mettere in luce quelle realtà antropologiche che se non andranno via via a sparire sicuramente saranno costrette a confrontarsi con la modernità e il progresso che tale cantiere rappresenta. E’ per questo che il documentario di Ancelin non diviene mai lavoro di denuncia, neanche quando, analizzando i diversi tipo di abitazione messi a disposizione dalla società, mostra le profonde differenze tra gli alloggi riservati ai lavorati europei/occidentali e a quelli autoctoni.

Habiter/Construire è quindi un lavoro costruito sul confronto tra diversi spazi abitativi e lavorativi, messi in rapporto tra loro in modo da non creare tesi ma solo accostamenti concettuali; la macchina da presa, spesso fissa in riprese fotografiche, cerca di esplorare tanto le abitudini dei lavoratori occidentali che di quelli accorsi da varie città e villaggi del luogo in cerca di lavoro, senza dimenticare per questo chi di quella strada e di quel cantiere non vuole saperne nulla, ovvero i nativi ancora intenzionati a vivere e lavorare nel deserto. Assistiamo quindi alle pratiche più giornaliere della vita tribale, che continuano ininterrotte mentre a pochi chilometri di distanza una lingua di asfalto si appresta a connettere le varie zone del paese, aprendo la strada ad un mondo moderno in lento avvicinamento.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 29/01/2015