MedFilm Festival 2012 / “The Cord”, “Return” e altri

Una ragazza iraniana nata durante la guerra cerca risposte e si informa: vuole capire i come e i perché del mondo che la circonda, i come e i perché della guerra nel suo paese. Sogna di essere la nuova Oriana Fallaci o un’altra Christiane Amanpour. Desidera essere una donna libera, che sceglie senza costrizioni di alcun tipo. Ma informarsi, leggere, scrivere, riflettere, più che dare risposte spesso annulla le certezze. Ed ecco allora i dubbi, la sfiducia nella classe politica, la convinzione sempre più forte che chi è davvero interessato al proprio paese è la persona qualunque, che cammina per strada. L’unica certezza è quella di sapere che Iran è sinonimo di casa, ovunque lei sia, qualunque cosa stia facendo e che tutto ciò l’ha portata ad essere la donna che è oggi e che nessuno le ha precluso nulla. Sweet and Sour Like a Pomegranate è un racconto dall’’animazione semplice, lineare e pulita, in cui la regista Mahya Soltani si narra nel modo più antico possibile, attraverso la semplicità dell’ intimità con se stessi, uno stile diaristico carico di animazioni realizzate da lei stessa per la semplice storia della propria vita. La regista si racconta e confronta con il proprio diario, che coincide con un grande schermo.

Il lento trascorrere del tempo, un ritmo indolente eppure ostinato nel continuare ad andare avanti: Faces è la cronaca di una giornata qualunque di un allevatore di capre in Giordania. Le preghiere ad Allah, la moglie sorridente e solerte, i figli allegri e pronti a dare una mano; ma anche l’esistenza in un luogo sperduto, la tentazione di vendere tutto e trasferirsi in città, il futuro incerto. Se ci si contenta di uno sguardo neutrale e della lentezza di un’opera priva di particolare pretese stilistiche – quasi un ritaglio casuale della realtà – si può almeno godere dei visi eccitati e curiosi dei bambini catturati dalla macchina da presa, in un quarto d’ora di piena immersione in spazi e abitudini tanto diverse quanto in fondo simili al mondo degli spettatori europei.

Altre famiglie non sono così serene e unite: Morning, Noon, Evening…and Morning racconta, tra salti temporali, l’ossessione di un ragazzo per la separazione dei genitori, avvenuta quando era bambino. Piccolo solo in termini di età: il figlio, rispetto loro, è l’unica figura ferma, anche in termini puramente materiali. Difatti scalcia, si lamenta, si butta per terra, tutto per impedire che padre e madre se ne vadano; e dopo, mai stanco, torna continuamente sull’argomento, reiterando negli anni le medesime domande senza risposta. Ma è tutto inutile, nulla può calmare l’inquietudine di cui sono preda i due, sempre in agitazione, pronti ad allontanarsi, a cambiare strada, salvo la fugace tregua per osservare allo specchio gli effetti del tempo sul viso; né le lacrime di allora né i tentativi di dialogo odierni; nulla contro la malinconica evidenza di come le passioni del cuore possano scontrarsi con le ragioni del dovere, e vincere in una battaglia che lascia sempre feriti sul campo.

The Cord (Le Cordon) si pone su un piano ben più tragico: per la giovanissima madre di un figlio illegittimo lo scontro non è solo con la famiglia, ma con l’intera società. Condannata moralmente, maledetta dalla sua stessa madre e ingiuriata in pubblico– siamo in Marocco –, sembra non trovare altra strada che abbandonare il figlio di cui è già perdutamente innamorata. Nel tragitto dal proprio paese all’ospedale della città più vicina, di autostop in autostop, la donna vive l’angoscia della propria scelta. Il registro drammatico è qui del tutto pertinente, se non necessario, al racconto di denuncia di un vero e proprio martirio psicologico vissuto solo in virtù di pregiudizi retrogradi e meschini. Come a dire: se non riesci a capire, prova a guardare come ci si sente.

Un giorno qualunque nella vita di Johnny ed un invito, il titolo Oh Johnny!, un’esclamazione necessaria come un movimento tellurico nel quotidiano di un uomo alle soglie dei cinquant’anni. Chi è Johnny? Ci domandiamo. Quel che sappiamo è che Johny ama i piccioni, è un ex pugile salutista alle porte della terza età e vede, nel piccione, il riscatto della sua giovinezza. Paulo Carneiro, documentarista portoghese, ci vuole raccontare la vita di un uomo qualunque nel modo più trasparente possibile. Peccato che a volte la trasparenza utilizzata appiattisca la descrizione della storia dell’uomo, ed il racconto ne risenta di interesse. Quel che ne deriva è molto più simile alla descrizione di un “solido” ma bidimensionale personaggio che al racconto di un’identità particolare come quella del protagonista stesso. Di Johnny conosciamo le abitudini ma ci dimentichiamo spesso chi è, distanziandoci un pò troppo da lui. Chi è Johnny? Appunto. Proviamo ad incitarlo, esclamandolo come nel titoli per vedere se ci risponde.

Partire è un po’ come morire, è vero, ma anche ritornare può non essere cosa facile. Specie se ciò che ti circonda ha perso ogni senso, se progetti e idee si affastellano per poi collassare nella loro intrinseca fragilità, se ogni rapporto sociale appare plastico e vuoto. Forse solo il contatto con una nuova vita può essere occasione di riscatto, ma nulla è certo. E’ la fotografia di un collasso nervoso il cortometraggio Return dell’israeliano Shai Levy, una storia autobiografia che cerca di mettere in scena la crisi psichica di un giovane precipitato nell’abisso della depressione. Un gorgo rappresentato senza particolari pretese ma con una semplice schiettezza che ha attirato anche l’attenzione dei selezionatori di Cannes, essendo stato presentato il corto anche alla Semaine de la critique del festival francese.

Autore: Redazione .
Pubblicato il 29/01/2015

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