StellaStrega

di Federico Sfascia

Con StellaStrega Federico Sfascia dona nuova linfa ai sogni orrorifici di Alienween, in una riscrittura di montaggio fatta di poche ma significative variazioni

StellaStrega, Federico Sfascia, Recensione, Film

Al grido di “tremate, tremate le streghe son tornate!”, con StellaStrega Federico Sfascia si prende una rivincita sui problemi intercorsi durante la lavorazione del precedente Alienween, progetto commissionato dal produttore Alex Visani e dalla sua Empire Video, ora assente dai titoli di testa. Nell’ultimo lavoro del regista umbro infatti le streghe sopraggiungono come un deus ex machina accorso a salvare l’umanità dall’apocalisse, ma anche a fare giustizia di un film inficiato da una produzione disattenta, inesperta, incapace di fornire un adeguato finanziamento e dunque di sostenere appieno la libertà creativa concessa all’autore. StellaStrega sorge così dalle ceneri di Alienween, ne costituisce sia il rimontaggio che un lavoro di riscrittura, e proprio con la scelta del nuovo titolo, suggerito dall’unico elemento narrativo assente nel film iniziale - la presenza appunto delle streghe, - esprime una inequivocabile dichiarazione di intenti.

Sfascia ristabilisce il controllo su una materia ancora grezza, senza operarne però un totale scardinamento. Al contrario, attraverso poche e pazienti migliorie, rese possibili questa volta con il sostegno di Rubaffetto Entertainment, già produttrice di I rec u, Sfascia taglia e cuce la propria creatura per liberarne finalmente il potenziale inespresso. La follia immaginifica del regista, sacrificata in parte in Alienween da effetti speciali non sempre all’altezza dei lavori precedenti, trova maggiore respiro grazie all’aggiunta di effetti ottici e qualche modellino più accurato. Ciò unito ad atmosfere più pregne dei sogni e degli incubi cinematografici di Sfascia, merito della nuova colonna sonora, decisamente più immersiva e aderente alla materia filmica, capace finalmente di creare tensione nei momenti giusti con i suoi toni spiccatamente carpenteriani, ma anche di tingersi di venature malinconiche che infondono nuova linfa a sequenze rimaste per lo più intonse - il momento della danza delle prostitute ne è un illuminante esempio. La sottotrama melodrammatica risulta così molto più a fuoco, sostenuta anche da pochi tagli di montaggio e da brevissimi ma oculati frammenti girati ex novo, che ne strutturano meglio il dipanarsi.

Ma la grande conquista di StellaStrega sta soprattutto nella forza con cui Sfascia corrobora, senza sconvolgere la materia di partenza, la sua verve incendiaria, anima, cuore (e budella) del suo cinema, sospesa tra una dissacrante - e sacrosanta - visione dell’umanità e un sentimento del tragico che non ha nulla di vuotamente sentimentale, ma che è anzi l’esatto opposto di ogni sentimentalismo d’accatto. Il memorabile prologo del film, una delle poche parti inedite rispetto ad Alienween insieme alla sequenza lisergica delle streghe, non lascia scampo a nessuno, né alla demenza di youtuber mentecatti, né a un popolo di webeti patentati, né implicitamente alle vane promesse di produttori spiantati (“se non c’hai i soldi, non li fare i film”); un’umanità probabilmente degna - sembra dirci Sfascia - dell’imminente estinzione che piove sulla sua testa inconsapevole. È in questi momenti, nel modo in cui per esempio viene dilatato e reinventato un prologo che in Alienween sembrava poco personale e troppo affrettato, fino a farne una sorta di manifesto autoriale, ma anche nei piccoli dettagli modificati in post-produzione - soprattutto per quanto riguarda le ignominiose pagine social - che il lavorio di StellaStrega riesce davvero a rendere ancora più incisivo la causticità del cinema di Sfascia.

Risolti in parte i problemi di ritmo del film precedente, soprattutto nella seconda parte, e impreziosito il carosello grottesco del suo (ahinoi del nostro) universo, i deliri cine-fumettistici di Alienween rivivono in StellaStrega. Tornano dunque gli zombie-alieni dalla testa di zucca, tornano i fluidi mortali che corrodono la carne - puro pus underground! - e trasformano in mostri chi, del resto, anche nella quotidianità non fa che comportarsi come tale. Tornano gli scontri epici in stile manga a suon di nipponici raggi luminosi, e insieme a tutto questo ben di Dio arrivano per la prima volta anche le streghe, presenze femminee di natura ancestrale, la cui piccola aggiunta basta a irrobustire la lettura finale del film. Ecco allora i nuovi contorni di una speranza d’amore che solo una madre può offrire al mondo come antidoto ai suoi orrori. Un invito alla resistenza che, ci auguriamo, possa essere seguito dallo stesso Sfascia e dal suo cinema.

Autore: Riccardo Bellini
Pubblicato il 03/12/2018

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