Captain Marvel

di Anna Boden Ryan Fleck

Saper ascoltare sè stessi e gli altri è il più grande superpotere. Lo dimostra Captain Marvel, che compie un viaggio a ritroso nella memoria per giungere alla piena consapevolezza di sè.

Captain Marvel-recensione film Boden Fleck

Avevamo lasciato il Marvel Cinematic Universe in pieno terremoto editoriale, con un grande villain in grado di affermarsi come il vertice gerarchico e il baricentro di un film che schiudeva inattesi orizzonti narrativi con un punto di non ritorno. Dalla necessità di fermare il suo potere assoluto conseguiva un cliffhanger relativo all'introduzione di un nuovo personaggio: Captain Marvel. Soltanto la sua discesa in campo potrebbe porre fine ai giochi e decretare la conclusione di un universo narrativo che, da ormai 11 anni, ha un'importanza imprescindibile nel campo dell'intrattenimento. E che, da altrettanto tempo, non aveva ancora mai avuto il coraggio di sdoganare un personaggio femminile come assoluto protagonista di un proprio stand-alone, finalmente arrivato, grazie proprio a Captain Marvel, diretto dai due indie Anna Boden e Ryan Fleck.

Dopo la deflagrazione di innumerevoli schegge (il ritorno a casa di Spider-Man, il percorso psichedelico di Doctor Strange, lo scivolamento verso il demenziale di Thor: Ragnarok e il premiato allargamento dei confini culturali e geografici di Black Panther), riunite per l'inevitabile scontro con il più tragico tra i nemici, tocca a un'altra origin-story dal gusto poco tradizionale preparare il campo per il prossimo Endgame. Captain Marvel non è soltanto la prima eroina del MCU ma è anche la più potente nella compagine degli Avengers. La chiamata risolutiva e disperata di Nick Fury poco prima della sua dissolvenza suggeriva il suo valore strategico di arma definitiva.
Kevin Feige e co. provano a ripetere l'operazione Black Panther, gettandosi nuovamente nell'agone del dibattito politico e culturale americano. Il film di Boden e Fleck, infatti, come nella tradizione dei migliori blockbuster, è un enorme contenitore che, al suo interno, contiene particelle in grado di andare verso le più disparate delle direzioni e di prestarsi a diversi percorsi di lettura.

La giovane Carol Denvers (Brie Larson) è già un'abile guerriera quando appare per la prima volta sul grande schermo. Grazie al sostegno del suo comandante Yon-Rogg (Jude Law), impara ad affinare la sua arte, controllando i suoi principali punti deboli: l'emotività e i ricordi del passato, il cui affastellamento, ogni tanto, compromette il suo equilibrio mentale. La ragazza lotta al fianco dei Kree, credendoli la sua razza di appartenenza, ed è dotata di numerosi superpoteri che non sa gestire del tutto e che usa contro gli Skrull, un'infida razza in grado di assumere le sembianze di chiunque veda. Quando, però, la sua squadra finisce vittima di un'imboscata, Carol viene fatta prigioniera dagli Skrull e riesce miracolosamente a fuggire, precipitando su un pianeta sconosciuto: la Terra. Tra cartonati di True Lies e vecchie VHS di action movie ad alto tasso di machismo, la ragazza atterra dentro una videoteca Blockbuster in pieni anni '90. Ad accoglierla sarà un comitato composto dall'agente Coulson e da un giovane Nick Fury, che non ha ancora la minima idea di cosa sia un supereroe né di come utilizzarlo in difesa dello SHIELD.

Più che uno spartiacque sulla questione femminile, Captain Marvel è, prima di tutto, un manifesto sulla questione umana. A differenza di Diana Prince che, in Wonder Woman, scopriva la sua dimensione femminile anche attraverso una relazione sentimentale, per Carol Denvers la parità di genere è un dato già acquisito. Il percorso della ragazza, infatti, consiste in quello che potremmo ribattezzare “viaggio dell'umano”, costellato da aiutanti, mentori e trickster, in cui il problema del condizionamento sulla presa di coscienza delle donne viene nascosto dietro la questione della consapevolezza del potere. Attraverso i suoi ricordi, Carol costruisce una tessitura narrativa che trasforma le debolezze umane in punti di forza su cui edificare la propria caratura caratteriale. Insomma, il punto di essere un eroe non consiste tanto nei superpoteri posseduti ma nella consapevolezza di chi si è. Venire a conoscenza dei propri punti di forza ed essere sicuri di sé, nonostante numerose cadute rovinose, schiude il proprio orizzonte di forza.

D'altronde, il film non si limita ad intervenire sulla questione umana/femminile ma imbastisce anche un ulteriore elemento di riflessione sulla situazione socio-politica contemporanea attraverso un twist narrativo che è opportuno non rivelare. Essere esseri umani vuol dire, in primis, saper ascoltare sé stessi e gli altri perché è sempre l'incontro con il diverso da noi (e il MCU lo insegna al meglio) a custodire infinite potenzialità.

Autore: Matteo Marescalco
Pubblicato il 14/03/2019

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