Roma 2015 / Pan

Il senso di evasione da una realtà dolorosa di Peter Pan viene trasportato su un'isola esteticamente meravigliosa ma incapace di elevarsi a favola morale

«Seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto fino al mattino, poi la strada la trovi da te» ... e se non la trovi la Warner Bros ci pensa per te! Dopo Jane Austen, Ian McEwan, Lev Tolstoj, il regista britannico Joe Wright torna a lavorare ad una nuova trasposizione di un romanzo letterario classico: J.M.Barrie con il suo Peter Pan. Autore dalla fervida immaginazione cresciuto leggendo insieme alla madre, dopo la tragica morte del fratello, le avventure fantastiche di pirati ed isole incantate contenute nei libri di Stevenson, Barrie, trasferisce parte della sua vita e del suo riscatto nel personaggio che lo ha reso celebre: Peter Pan. Dall’incontro con i quattro figli della famiglia Davies – come narrato in Neverland di Marc Forster – fotografati e raccolti dallo stesso Barrie nel suo libro I bimbi smarriti di Black Lake Island, troverà in loro lo spirito giusto ed il coraggio narrativo per affrancare la mappa interstellare e raggiungere l’Isola che non c’è. La storia descritta da Wright anticipa le vicende e le avventure descritte nel libro Peter e Wendy, versione successivamente trasposta in molte opere cinematografiche diventando archetipo paradigmatico narrativo fondante per la sua genesi - dal cartone animato Disney al film di Spielberg – raccontando le vicende che porteranno Peter ad essere il prescelto dal popolo dei Bimbi Sperduti, acquisendo lo pseudonimo di Pan. La sceneggiatura di questo film unisce l’ambientazione di questa avventura letteraria con alcuni elementi del libro precedentemente scritto da Berrie, L’uccellino bianco, costruendo su di essi un’evoluzione propria totalmente svincolata dal libro, una rilettura che diventa una storia nuova ed allo stesso tempo sintesi dell’intera bibliografia dello scrittore scozzese.

Dopo la prima mezz’ora davvero coinvolgente, il film si trasforma una giostra visiva ingombrante, la meraviglia nel miracolo della trascendenza fantastica, funzione principale di un Peter Pan che conosce la rotta per l’evasione dal dolore e dalla solitudine del reale, si stempera nella meraviglia di un universo esclusivamente ludico, focale di arrivo di una grande produzione hollywoodiana tesa al solo scopo dell’intrattenimento tout court. L’intelligente sintesi adoperata nelle scrittura dello script, partente dal lavoro di Barrie sulla sua opera omnia, si carica di una serie di modelli propri del cinema fantastico americano, elementi che provano – impantanando – a rielaborare personaggi, figure e dinamiche spettacolari di tutto quell’universo immaginario che popola il cinema hollywoodiano contemporaneo e non solo. Da una battaglia aerea combattuta tra cannonate galeoniche e mitragliate laser della RAF – con una vistosa strizzatina d’occhio all’epica bellica spaziale di Star Wars, ben presto si raggiungono caratteri già noti e digeriti dal bagaglio culturale spettatoriale, dal giovane Capitan Uncino che abbraccia il modello eroistico di Ian Solo, all’avventura sfrenata e rocambolesca di un Indiana Jones, completando così un film che sfrutta modelli passati per generare una facile – e furba – nuova meraviglia, riuscendo solo a creare un impasto già visto e lavorato. Nel tentativo di creare un ulteriore brand di successo a lunga durata come I Pirati dei Caraibi ed all’inseguimento di tale chimera, la Warner Bros confezione attraverso un preciso dosaggio chimico una miscela buona per gli occhi ma insensibile per il cuore.

Se l’ambientazione – la Seconda guerra mondiale – e l’orfanotrofio – che sembra fedelmente uscito da un racconto di Dickens – all’inizio fanno ben sperare, vertice questo raggiunto con l’entrata in scena di Hugh "Barbanera" Jackman, un mega cattivo dark metà punk e metà rock che inneggia il proprio terrore cantando "Smells Like Teen Spirit" e “Blitzkrieg Bop” - davvero tanta roba – il film lentamente si spegne tra le braccia della pirotecnica ruota ludica innescata, e tolto un finale delizioso per gli occhi – del film e del significato del Peter Pan resta poco o niente. Anche la parentesi temporale – in apertura ed in chiusura del film – quindi l’orrore del Secondo conflitto che crea orfani – ottimo punto di partenza per un riflessione sulla fantasia d’evasione – si scioglie in un ingarbugliato film per famiglie e per bambini, molto più meravigliati dalla terza dimensione e dalla velocità assunta dalle vorticose peripezie che dal contenuto finale. Nonostante la capacità registica di Joe Wright che continua ad esibirsi al alti livelli, il virtuosismo di movimento qui utilizzato crea spettacolo ma non produce quel significato, e quella morale, tanto sperata.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 19/10/2015

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