I ricordi del fiume

I fratelli De Serio ci guidano all'interno del Platz, la più grande baraccopoli d'Europa sulle rive del fiume Stura

I ricordi del fiume si apre sotto le prime luci dell’alba, con un ragazzino appena adolescente che cammina tra le lamiere e i rifiuti di un campo nomadi. Apparentemente senza meta, ci guida con i suoi passi dentro il Platz, la più grande baraccopoli d’Europa, un accampamento sulla riva del fiume Stura, vicino Torino, nel quale vivono oltre 1000 persone di diverse nazionalità. La conclusione del film arriverà di nuovo all’alba ma mesi più tardi, quando, con lo stesso incedere incerto e discreto, torneremo a seguire lo stesso ragazzo. Adesso però attorno a lui ci sono solo le macerie di un campo nomadi abbattuto, i resti ammonticchiati e lasciati indietro dalle ruspe, i pochi disperati rimasti ancora a raccattare le ultime cose prima di sgombrare definitivamente. In mezzo a questi due momenti, splendidi piani sequenza che uniscono l’esplorazione spaziale all’invito morale alla scoperta, scorrono gli ultimi mesi del Platz, raccontati da Massimiliano e Gianluca De Serio con la dignità e l’intelligenza più umana di chi vede nell’immagine cinematografica la possibilità (e il dovere) di andare oltre lo stereotipo mediatico, per restituire infine dignità e valore alle persone attraverso la scoperta del quotidiano.

In un momento del suo percorso, il ragazzo che apre e chiude il film si accanisce contro uno specchio già in frantumi, segno evidente del vuoto lasciato da un’identità che non si riesce a costruire, che non si riesce a liberare dagli aspetti più evidenti (i rifiuti, le ruberie, l’inquinamento ambientale) di una vita che cresce come un’erba rampicante, ai margini della società e nonostante essa.

Tralasciando una ricostruzione ragionata che restituisca attentamente le criticità sociali, sanitarie, economiche, I ricordi del fiume sembra piuttosto incaricarsi di sopperire a tale mancanza di racconto, al vuoto di auto-rappresentazione di una realtà, quella nomade e dei campi rom, che viviamo sempre attraverso cronaca giornalistica, ricostruzione mediatica e luogo comune. Certo non mancano i momenti dedicati ad alcune di queste dinamiche (specie l’inquinamento del fiume e le pratiche di censimento con cui la prefettura assegna alcune case popolari), tuttavia l’intento dei fratelli De Serio è quello di gettarsi nel flusso del Platz senza voler giudicare né giustificare nulla, con l’ambizione piuttosto di sparire dietro la macchina da presa per restituire al film una quotidianità che sia più autentica possibile.

Il risultato è un approccio rizomatico che nella sua orizzontalità fa tornare alla mente il cinema di Wang Bing, per il modo in cui lo sguardo cerca di calarsi all’interno di un contesto specifico senza inseguire quella mappatura antropologica, pressoché scientifica, che avrebbe invece realizzato un altro gigante del documentario come Wiseman. Tuttavia I ricordi del fiume denota tanto questa volontà di compenetrazione e abbandono quanto un’irrisolutezza di fondo dello sguardo, che forse appare ancora acerbo per come manca di scavare più a fondo nella realtà del Platz. Come se il rigore e il giusto riserbo trasbordassero infine in un eccesso di distanza, una messa in quadro del quotidiano che nei suoi 140 minuti cade in brevi momenti in un’esagerata costruzione ma in altri appare invece priva di uno sguardo forte che vada a riallacciare le fila di quanto visto. Il risultato più evidente si avverte proprio nel finale, un’apocalisse del campo alla quale non si arriva con quel carico emotivo che la durata e l’intento del racconto lascerebbero invece immaginare. Come detto si tratta di limiti imputabili ad uno sguardo leggermente acerbo, che comunque denota già una grande umanità e la volontà di confrontarsi con il reale per riscoprirne il valore più semplice e nascosto.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 10/09/2015

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