Francesca

Il nuovo giallo italiano arriva dall'Argentina ed è morbosamente ineccepibile

Sembra un thriller argentiano, ma è un thriller argentino. Stiamo parlando di Francesca, l’opera seconda dei fratelli Onetti, già autori di Sonno profondo. Il titolo si colloca all’interno di un sottogenere contemporaneo battezzato neo-giallo, ovvero film che pescano le loro influenze nel thriller italiano degli anni Settanta, conosciuto in tutto il mondo semplicemente come giallo. Il revival del cinema di genere del Belpaese è storia vecchia, il problema principale è che spesso ai nostri filmmaker basta applicare una gelatina verde e una rossa sui faretti per convincersi di essere i nipoti di Mario Bava. Altra storia è invece per chi il giallo l’ha amato davvero e compreso nelle sue peculiarità a volte pop e a volte visionarie. Parliamo dei francesi di L’étrange couleur des larmes de ton corps, degli inglesi di Berberian sound studio, dei canadesi di The editor e tanti ancora, fino ad arrivare ai sudamericani, sebbene di lontane origini italiane, che con Francesca spiazzano tutti andando oltre l’omaggio, l’atmosfera, la rivisitazione per elaborare un discorso artistico che si colloca a metà strada tra la ricostruzione storica e il ready-made.

Nel prologo del film ci viene presentata Francesca, una ragazzina con una sadica passione per l’uncinetto. La fanciulla usa infatti lo spillone per uccidere volatili e accecare il fratello neonato, sotto lo sguardo sconvolto della madre. A distanza di tre lustri, nella stessa città, un assassino elimina una donna indagata per frode. La vittima che aveva raggirato duecento persone con lo schema piramidale Ponzi, una specie di catena di Sant’Antonio, si trova suo malgrado a innescare una nuova reazione a catena. L’omicida, infatti, non si limita a uccidere i peccatori della città come proclamato telefonicamente alla polizia, ma mette a tacere anche i testimoni. Per qualche motivo gli investigatori sono convinti che ci sia un nesso tra la scomparsa di Francesca, quindici anni prima, e la comparsa dell’assassino seriale.

Immagine rimossa.

A essere franchi la trama di questo thriller non è cristallina in ogni passaggio. Ad esempio, già dal primo omicidio si parla di un assassino seriale ("Stessa mano, stesso modus operandi") sebbene non vengano mai menzionati i delitti precedenti. Se però la si valuta nel complesso dell’operazione artistica, è coerente. A Onetti, per l’appunto, non interessa una perfezione estetica contemporanea ma un’estetica che sia perfettamente adeguata a un cinema ritrovato. E per permettere a un’epoca di generare un film postumo, riprende il tutto con una vecchia Nikon munita di ottiche anni Settanta. Mentre per l’audio si serve di un antiquato registratore Geloso e di soli due doppiatori. I dialoghi non sono né in spagnolo né in inglese, ma in italiano. I volti degli attori, così come ogni oggetto in scena, sono scelti con cautela. Tutto deve essere rigorosamente figlio di quegli anni e dello Stivale. A rafforzare il legame con l’Italia vengono tirati in mezzo anche Dante Alighieri e la Divina Commedia, da cui l’assassino trae ispirazione e genera un inevitabile confronto tra la piccola Francesca e l’amante di Paolo Malatesta nel Canto V dell’Inferno, entrambe innocenti peccatrici. Sebbene ogni inquadratura sia stata girata nella città argentina di Azul, la trasfigurazione nell’anonima metropoli italiana è talmente maniacale da ingannare anche il noto sito IMDB, il quale cataloga Francesca come coproduzione italoargentina. L’opera dei fratello Onetti, dopo essere stata presentata in anteprima al Festival di Sitges, si è aggiudicata il Weird Vision Award al Ravenna Nightmare e continua a vincere premi per il mondo. Se davvero ha un neo da scovare nella pedanteria della propria messinscena, questo è sicuramente la scena nascosta dopo i titoli di coda, moda che nel decennio giallo non esisteva.

Autore: Mattia De Pascali
Pubblicato il 07/12/2015

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