Priscilla

di Sofia Coppola

Cinema della gabbia dorata che non riesce a valorizzare il ribaltamento femminile del punto di vista, confondendo superficie per superficialità, racconto del vuoto con crisi del personaggio.

Priscilla - recensione film coppola

Cinema della gabbia dorata, di solitudini femminili isolate dal mondo a opera di un benessere che fa da schermo protettore. Puoi proiettarci sopra i tuoi desideri ma infrangerlo è tutt’altra cosa. Ma anche cinema del ribaltamento di genere, del controcampo femminile che completa il quadro, lo verifica e complica. A ben guardare non è la prima volta che Sofia Coppola prende una storia dal radicato punto di vista maschile e la rimette in scena con una prospettiva altra, femminea, invertendo il segno del racconto. Già L’inganno (The Beguiled) operava in maniera simile, concentrandosi sul lato femminile dell’avventura eastwoodiana narrata ne La notte brava del soldato Jonathan. Il film di Don Siegel, primo adattamento del romanzo scritto da Thomas P. Cullinan, era allora il punto di partenza per l’operazione voluta da Coppola, intenta a estendere le coordinate cinematografiche che più le sono proprie dentro e attraverso delle griglie preesistenti che possano offrirle nuovo territorio in cui muoversi, nuovi contesti e referenti simbolici con cui confrontarsi. Un’operazione nettamente riuscita ma che messa in fila con Priscilla solleva adesso il dubbio che questo cinema, seppur così deciso e riconoscibile nelle forme, inizi a mancare di ispirazione propria e cerchi piuttosto contesti altri a cui applicarsi come struttura modulare. Priscilla in tal senso nasce come contraltare, volente o nolente, dell’Elvis di Baz Luhrmann, ma il ribaltamento di prospettiva ha un che di calligrafico, di pudicamente fuori fuoco, tanto che il film stesso sembra, a visione conclusa, mancare a sé stesso.

Avviata durante il servizio militare di Elvis in Germania e proseguita per anni burrascosi fino alla prigionia di lui sul palco di Las Vegas, la cronaca è per lo più nota, accennata anche nel film di Luhrmann e qui ricostruita a minor velocità e intensità scopica. Del resto tra il regista australiano e Coppola non potrebbe esserci maggior distanza registica, per quanto entrambi i film lavorino, in forme per l’appunto opposte, sullo spessore semantico della superficie, su ciò che nasconde ma soprattutto comporta. Ma se Luhrmann maneggia, magistralmente, le logiche e condizioni postmoderne, Coppola è ancora figlia della modernità, del cinema introspettivo che costruisce vicende e personaggi attraverso le attese e le relazioni con gli spazi, anzitutto domestici. Un cinema dello sguardo, che parla la lingua dell’alienazione inspessendo la cornice rappresentativa del quadro, senza per questo rinunciare all’immedesimazione sentimentale nei confronti dei caratteri.
Priscilla in tal senso conferma con coerenza l’approccio e gli interessi della sua autrice, puntando a completare quella cronaca appena accennata in precedenza, ma se l’intento è quello di dare dignità narrativa e spazio scopico alla vicenda di Priscilla, al personaggio e tutto quel che comporta in termini di sensibilità, pensieri, orizzonti esistenziali, il film sembra davvero mancare i suoi obiettivi. Tanto, troppo di quel che accende e anima il film riguarda infatti Elvis, con un esito paradossale per cui la forza centripeta del personaggio non domina soltanto la dimensione diegetica della supposta protagonista (nello squilibrio abusivo del rapporto tra i due) ma la narrativa stessa. Priscilla, semplicemente, non c’è. Non c’è il suo sguardo, non c’è reazione, e soprattutto non c’è futuro che esuli da Elvis. Persino in termini linguistici le trovate più stimolanti e foriere di riflessioni riguardano lui piuttosto che lei. Come, su tutte, la scelta di far interpretare questa versione bigotta e maschilista, indubbiamente tossica e tutto sommato ottusa, per quanto succube a sua volta dell’onnipresente (ma qui invisibile) Colonnello, di assegnare questo Elvis così discutibile e gretto a Jacob Elordi, magnifica scoperta di Euphoria che qui replica tale e quale il suo Nate in una sovrapposizione che attraverso spaziotempi così diversi genera un limpido cortocircuito d’immaginario. Ma, appunto, si tratta di Elvis. E Priscilla? Dov’è il cuore di un film che affronta la sottomissione della sua protagonista semplicemente mettendola in scena, reiterando a livello cinematografico lo squilibrio relazionale di cui è vittima? Priscilla, film e personaggio, mancano di reazione, di identità, di autonomia di sguardo. Tanto che persino nel finale, quando finalmente potevamo conoscerne l’esito al di fuori della funzione Elvis, quando finalmente Priscilla riesce a ritagliarsi uno spazio d’azione per evadere dalla gabbia (in un doppio movimento che il film non sfrutta, perché è proprio in quel momento che Elvis vi precipita, nelle forme dei palchi di Las Vegas), quando finalmente è libera e sola, ecco che il film finisce, ex abrupto, come a rimarcare la sua mancata indipendenza scopica e narrativa. Esito paradossale considerati gli intenti di cui si carica e che hanno fino a lì giustificato la visione.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 03/10/2023
Italia, USA 2023
Regia: Sofia Coppola
Durata: 110 minuti

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