PPZ - Pride + Prejudice + Zombies

Mediocre sincretismo zombie, il film di Burr Steers procede indeciso tra fedeltà e reinvenzione, ma se i morti viventi abbondano a mancare del tutto sono le idee

Volendo lavorare un po’ di immaginazione un film mediocre come PPZ - Pride + Prejudice + Zombies , riscrittura che unisce morti viventi, cacciatori di ghoul e balli settecenteschi, è una versione aggiornata, e infinitamente meno vitale, dei tanti film di serie b e z che hanno caratterizzato la storia dell’horror e della fantascienza a partire dagli anni Cinquanta. In questi film il genere diventa un terreno vergine nel quale ogni incontro è possibile, purché sia all’insegna del sottocosto e dello spavento facile; che si tratti di zombie contro formiche assassine, cowboy contro alieni, Dracula contro l’Uomo Lupo, questo cinema trova sempre il suo motivo d’essere nell’atto di cucire lembi d’immaginario normalmente lontani tra loro. Sotto-generi, riferimenti letterari, citazioni, tutto finisce nel calderone di una narrazione eterogenea e anarchica, all’interno della quale creature dell’altrove diventano le protagoniste degli scenari più impensabili.

Per quanto il soggetto dell’operazione abbia radici letterarie più canoniche e “alte”, quello subito dal romanzo di Jane Austen è un processo molto simile, una riscrittura che colloca il prodotto forte del momento all’interno di un contesto apparentemente inconciliabile. Un procedimento di per sé interessante, specie se consideriamo come oggi – finiti i tempi del cinema di serie z ucciso dalla polarizzazione dei blockbuster – questo tipo di operazioni vivano soprattutto sulla carta dei fumetti, sede prediletta per gli incontri/scontri di immaginario. Peccato però che queste considerazioni teoriche debbano restare nel campo della speculazione critica, ben lontane da un film che a conti fatti si limita alla blanda riscrittura senza arte né parte.

Il peccato originale di un film fiacco e ripetitivo come PPZ lo si trova facilmente nel romanzo di Seth Grahame-Smith, già uso alla riscrittura storica in salsa trash (suo libro e script de La leggenda del cacciatore di vampiri) ma qui coinvolto in un progetto che appare una semplice operazione di marketing, priva di ingegno e anima.

Libro e film infatti si limitano a ripercorrere con buona fedeltà intrecci e sentimenti del romanzo della Austen, accontentandosi di ricorrere allo straniamento suscitato dal vedere recitati i dialoghi originali nel bel mezzo di un allenamento all’arma bianca o di un’invasione zombie. L’assurdità dell’accoppiata può funzionare le prime due, tre volte, ma PPZ non ha davvero altro per allietare lo spettatore, cui si chiede di seguire fin troppo assiduamente una trama che a conti fatti nulla c’entra con il contesto di riferimento. Bene giocare con i generi e il canone letterario, ma a chi vuole parlare un film del genere?

Le poche incursioni nel trash/horror non bastano a sciogliere i dubbi suscitati da un lavoro che non ha il coraggio di andare in fondo alle sue premesse e si limita a giocare ripetutamente le pochissime carte che ha in mano. Neanche sul fronte del mero intrattenimento spettacolare il film riesce a trovare qualche ancora di salvezza. Tolta la gustosa artigianalità degli effetti, la regia di Burr Steers si arrampica attorno ad un vuoto d’immaginazione che affossa definitivamente un film mediocre e privo di autentiche qualità, occasione sprecata per quella che poteva essere un’irriverente cavalcata nel trash se condotta da ben altre mani.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 08/02/2016

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