New York 2015 / Journey to the Shore

Un viaggio in una terra lontana e misteriosa in compagnia degli spiriti: Kyoshi Kurosawa equilibrista fra la vita e la morte.

A volte la differenza fra vivere e morire può essere una sottile linea invisibile. Si è morti pur essendo vivi e si vive ancora dopo la morte, come nelle religioni orientali, il Buddismo e lo Scintoismo. Così nell’ultimo film di Kyoshi Kurosawa, A Journey to the Shore, morti e vivi si mescolano, condividono il tempo e lo spazio, popolano la stessa terra.

Il regista nipponico, dopo aver abbandonato il thriller, si spinge oltre il paranormale e oltre Real, portando sullo schermo il romanzo di Kazumi Yumoto. I fantasmi tornano per confortare i vivi che si sentono soli, per chiedere perdono, perché esattamente come “le persone normali” non riescono a dimenticare il passato e vivono imprigionati in un tempo andato, anch’esso morto. Con una leggerezza e una delicatezza tutta orientale, Kurosawa racconta il viaggio non solo figurativo ma anche emotivo dentro il dramma dello stare al mondo, attraverso la chiave della perdita e dell’amore. C’è il viaggio dall’aldilà e c’è il viaggio che i due protagonisti intraprendono in un Giappone inesplorato e magnetico. Il fantasma di Yusuke (Tadano Asano) appare mentre sua moglie sta cucinando, e ripetutamente sono i piaceri sensoriali – il cibo come la musica – ad evocare le anime dei morti. Se non fosse per questi richiami terreni, tutta la pellicola rimarrebbe racchiusa in un’aurea di misticismo evanescente e surreale, una storia evocativa e rarefatta dove i confini fra la realtà, l’immaginazione e il sogno si mescolano. Se Real era un viaggio dentro l’inconscio, Jouney to the Shore è un salto nell’universo, un movimento abile e sinuoso oltre i confini dell’esplorato. I morti che come i vivi provano sentimenti, cercano rassicurazione e tornano fra i propri cari per confortare chi pur restando sulla terra ha smesso di vivere.

Misuki (Eri Fukatsu) è una vedova che, da quando suo marito è misteriosamente scomparso, brancola in uno stato di apatia e arrendevolezza. Si trova nello stesso limbo in cui si trova il compagno defunto. Insieme a Yusuke, intraprende un viaggio itinerante in un Giappone sconosciuto e lontano dalle consuete rappresentazioni stereotipate: un percorso fra personaggi misteriosi e antichi, alla scoperta delle dinamiche sottese alla relazione d’amore, ormai appartenente al passato. Come se fuori dai canoni mondani, i due avessero finalmente il tempo per guardarsi e amarsi, accettando le crudeli leggi della vita e della morte. Lo sguardo sensibile di Misuki diventa però una porta verso altre dimensioni, uno strumento in grado di leggere i complessi meccanismi della vita e scandagliare il mistero della morte.

I toni e i personaggi ricordano i romanzi di Harumi Murakami, dove il realismo magico si traduce in una presenza quotidiana del paranormale e la narrazione acquista un tono aleatorio, a metà fra i due mondi. Kurosawa crea questa dimensione altra, attraverso un uso parsimonioso delle emozioni, sempre trattenute, educate, misurate, interpretando un approccio tipico della tradizione giapponese. Come in un giardino zen dove tutti i componenti sono equilibrati, sapientemente misurati in prospettiva del tutto; allo stesso modo in Journey to the Shore l’equilibrio è reso grazie ad un uso della colonna sonora, epico e abbondante, che trascende le lacrime trattenute e l’apnea dei sospiri. Sembrerebbe che i sentimenti e le passioni dei protagonisti trovino esplicazione solo attraverso le note impetuose, irruenti e solenni. Allo stesso scopo, la rappresentazione scenica è semplice, l’uso della macchina da presa elementare ricorda i manga più rigorosi e richiama anche ad una mise en scene teatrale, in onore ad un cinema antico, semplice, sobrio. Sobrietà ed eleganza che rimandano al design giapponese, per tornare in circolo all’equilibrio dei giardini fatti di dettagli minuziosi e riflessi di specchi d’acqua. Gli spiriti dei morti aleggiano sulla terra come antichi depositari di saggezza. La vita è governata da leggi universali insondabili ed illogiche. Allora cosa c’è d’illogico nel parlare, abbracciare o amare una persona morta. O come chiede Misuki al marito: Che differenza c’è fra vivere e morire?

Autore: Shaila Risolo
Pubblicato il 24/09/2015

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