Solo gli amanti sopravvivono
L’apocalisse messa in scena da Jarmusch ha il colore della notte e il ritmo monotono della quotidianità, una resistenza alla decadenza dettata da due corpi che traggono forza dal loro amore.
Esprime una gran voglia di libertà l’incipit del nuovo film di Jim Jarmusch. Tutta quella libertà enunciata ma poi disattesa nel precedente The Limits of Control, noir apolide schiacciato dal suo stesso meccanismo.
Il movimento circolare del vinile che introduce il film, replicato poi dalla macchina da presa che dall’alto verso il basso si avvicina ai corpi dei due amanti/vampiri, unendoli in un solo spazio impossibile, ha un effetto stordente ed ipnotico simile alla danza dei frati rosselliniani che si facevano girare la testa per scegliere la direzione da prendere. In questo caso i personaggi non hanno bisogno di muoversi per sapere dove andare giacché nessuna strada è quella giusta in un mondo abitato da uomini-zombie. Non resta che vivere separati dal resto dell’umanità, reclusi in due luoghi solo apparentemente dicotomici come Tangeri e Detroit, cercando di preservare la cultura e la conoscenza. Lei, Eve, appassionata di scienza e letteratura vaga per le strade della città portuale marocchina in compagnia dello scrittore inglese Christopher Marlowe, anch’esso vampiro. Lui, Adam, colleziona vinili, chitarre d’epoca, e compone lente ballate ossessive che riflettono il suo stato di prostrazione. Sarà proprio la sua depressione a spingere Eve ad andare a trovarlo a Detroit, un tempo capitale americana dell’industria automobilistica e oggi città fantasma popolata da coyote.
In questo senso non sono molto diversi dal piccolo Lorenzo di Io e te, che esprime la sua singolarità nascondendosi in una cantina. Per Adam ed Eve la reclusione è però allo stesso tempo una condizione necessaria – sono pur sempre dei vampiri e dunque sensibili alla luce solare – e un gesto di ostinata resistenza contro il degrado e la povertà morale, prima ancora che economica, del mondo contemporaneo. L’apocalisse messa in scena da Jarmusch ha il colore della notte e il ritmo monotono della quotidianità, rotto solo in un frangente da una debole svolta narrativa – l’ingresso in scena di Mia Wasikowska – che rischia di far deragliare il film, miracolosamente costruito sul nulla. La forza di Solo gli amanti sopravvivono sta nell’evitare le trappole del racconto canonico (o eccessivamente costruito, pensato, come nel caso di The Limits of Control) abbracciando fino in fondo l’idea di una fine senza fine, protratta all’infinito proprio come il movimento circolare del disco in vinile. La resistenza dei personaggi si manifesta allora nel semplice stare al mondo, nella persistenza dei corpi e della memoria. Che cos’è la casa di Adam se non un’altra camera verde truffauttiana simile alle inquadrature di Tsai Ming-liang? Eppure non è sufficiente a contenere il disfacimento. Quando anche l’abitazione sarà abbandonata e con essa tutti i preziosi cimeli custoditi, non resteranno che i due amanti soli a vagare per le strade di Tangeri, affamati di sangue ma pronti a rilanciare, ancora una volta, un segnale di speranza. Oltre qualsiasi azione più o meno significativa, parola, oggetto, fotografia, citazione, ci sono due corpi che traggono forza dal loro amore e che hanno il potere di farlo sopravvivere e cristallizzare negli altri per sempre. Destino crudele per chi è condannato a vivere in eterno e quindi ad assistere inerme al declino, eppure sublime nel primato che si attribuisce al desiderio e ai sentimenti come motore della storia.