The Interview

L'ultimo stadio della commedia americana

Non è semplice parlare di The Interview. Meglio, è molto facile parlare a vanvera del film mancando completamente il bersaglio. Il secondo lavoro della collaborazione dietro la macchina da presta tra Seth Rogen ed Evan Goldberg è uno dei più clamorosi casi di misunderstanding degli ultimi anni. Sfuggendo alle costrizioni di paraocchi contestuali vantaggiosi per il film ma deleteri per la sua ricezione critica, proviamo a vedere, facendo un passo indietro, cos’è The Interview.

In principio era Freeks and Geeks, serie televisiva trasmessa dalla NBC tra il 1999 e il 2000 dietro il cui progetto campeggiava la figura di Judd Apatow. Drama travestito da comedy, comedy anticipatore del dramedy, affresco generazionale e nostalgica pietra angolare sul passaggio all’età adulta, la serie è oggi vista soprattutto come la palestra di un gruppo di attori (principalmente, ma anche scrittori, produttori e registi) impegnati, seppur non proprio volontariamente all’epoca, a sistematizzare un insieme di retoriche e una narrazione collettiva che non si sarebbe interrotta col finire prematuro della serie. Per conoscere la natura e l’ispirazione del gruppo bisogna fare qualche altro piccolo passo indietro: alla fine degli anni Cinquanta esisteva il Rat Pack, gruppo di attori e uomini dello spettacolo (tra i quali Frank Sinatra e Dean Martin) particolarmente ribelli identificati dai media con questa sigla; una trentina d’anni dopo, su quella stessa ispirazione nasce il Brat Pack, composto da una generazione di giovani attori identificabili quasi tutti con il dittico di Francis Ford Coppola I ragazzi della 56ª strada e Rusty il selvaggio; all’inizio degli anni Duemila, infine, nasce il Frat Pack, rivisitazione demenziale dei due gruppi, composto da una serie di attori/comici quali Ben Stiller, Owen Wilson, Steve Carrell, Will Farrell. Sulla scia di quest’ultima formazione e inizialmente anche come una sua costola, nasce il Team Apatow (conosciuto anche come Apatow Maphia) composto prevalentemente da James Franco, Seth Rogen, Paul Rudd, Jonah Hill, Michael Cera, Jason Segel, ovvero i giovani di Freeks and Geeks più alcuni innesti.

Nonostante sin dalle primissime immagini sia chiarissimo che The Interview appartenga al Pack di Apatow, la pregiudiziale che ha dovuto scontare è stata pesantissima. Il caso nato a ridosso dell’entrata del lungometraggio nel circuito delle sale statunitensi, che non sapremo mai in che misura è stato subito e in quale montato ad hoc, ha completamente fuorviato gran parte degli spettatori e della critica cinematografica. Molto brevemente riassumiamo la vicenda ricordando che il film sarebbe dovuto uscire negli Stati Uniti il 25 dicembre, ma viene ritirato dalle sala a seguito di un attacco informatico subito dalla Sony (produttrice del lungometraggio), attacco la cui responsabilità è stata da diverse parti imputata alla Corea del Nord. Durante l’estate infatti un diplomatico nordcoreano definì The Interview un “gesto terroristico” dando vita all’escalation culminata con il ritiro del film dalle sale, da cui è nato un dibattito a cui ha preso parte anche Barack Obama, che non ha mancato di condannare il passo indietro della Sony. A seguito di questa sequenza di eventi il film ha assunto tutt’altra forma agli occhi e soprattutto all’immaginazione degli spettatori (e anche di molti critici), i quali sono sembrati dimenticare che co-regista del film è Seth Rogen e l’appartenenza all’Apatow Pack, caricando l’opera in uscita (la distribuzione poi è arrivata, seppur minima) di aspettative totalmente sbagliate. In America la maggior parte dei critici ha usato il film per portare acqua al proprio mulino e quindi per alcuni la rappresentazione del dittatore coreano era pericolosamente banalizzata, secondo altri veniva fatto un trattamento irresponsabile dei servizi segreti, altri ancora bacchettavano gli autori per un’eccessiva ilarità su questioni di grande impatto sull’attualità. Insomma, del film non hanno capito (voluto capire) nulla.

Immagine rimossa.

È superfluo sottolineare quanto la vicenda del dittatore coreano sia perfetta per lo sviluppo del film, sotto diversi punti di vista. Innanzitutto sul versante del marketing, anche volendo mettere da parte l’incidente diplomatico, la visibilità è assolutamente garantita. In seconda battuta essa innesca l’intero plot lanciando i due protagonisti nella più classica delle avventure che si rivelerà essere un viaggio formativo riguardo alla loro amicizia. Dal punto di vista delle questioni affrontate, non c’è dubbio che la rappresentazione del dittatore Kim Jong-un si presti perfettamente all’album di caratteri deboli della filmografia a cui afferisce il film, andando a mettere un ulteriore tassello a quello che è un discorso sul maschio contemporaneo di grande coerenza. Sotto quest’ultimo aspetto The Interview va visto anche secondo un altro filone, per ora molto breve, ma di importanza non secondaria. Il film è infatti l’opera seconda della coppia formata da Evan Goldberg e Seth Rogen, i quali hanno esordito con Questa è la fine, lavoro fondamentale alla comprensione del loro successivo film, specie perché sistematizza e certifica l’esistenza di un vero e proprio gruppo di attori/autori (che nel film interpretano se stessi) impegnati ad accumulare ritratti di uomini tra i 30 e i 40 anni tali da porsi come un complessivo affresco generazionale.

Questo secondo capitolo stringe il parco personaggi ai soli Rogen e Franco (più diverse spalle e alcuni cameo), sfruttando popolarità e viralità della coppia su tutti i livelli, a partire dai social media, e declinando la commedia nel più classico dei buddy movie con in più una componente di ambiguità omosessuale incarnata dal personaggio interpretato da James Franco. Sebbene possa risultare esagerata la recitazione di quest’ultimo (e in alcuni tratti in effetti le mossettine sono un po’ troppe), l’iperattività al limite della caricatura è la cifra del suo personaggio, la cui volata è tirata dagli sketch sul web (molti con il sodale Rogen) che lo vedono protagonista, sottolineando così, ancora una volta, l’intermedialità del film e più in generale di questo tipo di cinema. Dal canto suo Rogen interpreta con grande misura il doppio ruolo di autore e attore, dando al suo personaggio quella componente equilibrante, quasi di sottrazione, e contemporaneamente porta avanti un discorso personale sulla timidezza e il disagio di un certo tipo di giovani (grassottelli e timidi) iniziato con Freeks and Geeks. Non può mancare neanche la scatologia, da sempre al centro di questo tipo di cinema come hanno spesso dimostrato anche i fratelli Farrelly, anche per via di un gusto (a volte perverso) per la comicità disturbante. Proprio a questo proposito i due registi gestiscono molto bene un racconto che cambia continuamente il genere di riferimento così come il registro stilistico, passando dalla commedia sull’amicizia virile dai toni spensierati (che rimarrà fino alla fine) arrivando nella seconda parte a toccare momenti marcatamente pulp.

In conclusione non si può che applaudire questa coppia di autori e attori che negli ultimi anni sta ridefinendo il concetto di commedia americana (genere che ha attraversato una profonda crisi), partendo in prima istanza dai corpi e dalle biografie degli stessi interpreti, utilizzando la sessualità in maniera sempre profondamente ludica e affrontando questioni come l’omosessualità (il cameo di Eminem è fantastico) senza aver paura di invadere il politicamente scorretto, anzi rimanendoci dentro in maniera quasi permanente.

Autore: Attilio Palmieri
Pubblicato il 02/02/2015

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