Fratelli di TAV

“Chi non biasima il vizio, lo semina”

Proverbio italiano

L’Italia attraversata da una folgore: ruggisce, sfreccia, trasporta, collega. É la TAV: Treno Alta Velocità. Il territorio italiano ne è attraversato per l’intera lunghezza dello stivale. Chilometri e chilometri di linee ad alta velocità costruite sulle fondamentali arterie in ferro che già l’attraversano. Ma c’è chi dice no. NO TAV. Perché? Fratelli di TAV – Effetti collaterali del Treno ad Alta Velocità di Luppichini e Metallo è un documentario che costruisce una base semiotica, un intreccio collaterale con il quale leggere questo fenomeno di attraversamento, in velocità, dell’intera penisola. “Una manciata di filmaker”, quella sporca dozzina di obiettivi in ascolto, lucidi ed attenti ad ogni passo, ad ogni distanza, ad ogni effetto ricorsivo e collaterale della più imponente infrastruttura pubblica dal dopoguerra ad oggi. Il duo registico parte dagli albori del fenomeno; siamo nel 1993, alcuni “propagandisti della soluzione”, tra cui Lorenzo Necci, ex amministratore delegato delle ferrovie ed inventore del sistema Necci, legato alla distribuzione delle tangenti bipartisan, iniziano a pensare alla realizzazione di un’infrastruttura su ferro che possa eguagliare le migliori linee europee di alta velocità. Questo presupposto, iniziale ed ormai distanziato da noi di ben 20 anni, sta alla base della TAV, dell’attuale e caldissima protesta in Val di Susa e degli effetti collaterali della stessa. Il vizietto italiano, quel gioco mafioso che sorregge la regola degli appalti e sub-appalti, inizia ad operare.

Arriviamo in fretta al 1999, in cui i progetti sono finiti, la stima dei costi pubblici sembrerebbe definitiva, si possono iniziare i lavori della tratta Roma – Napoli. Inizia la truffa. Costi infiniti, aziende private intermediarie che si fanno garanti per ulteriori sub-appalti, il vizietto del “rubi chi può” comincia a svuotare le tesorerie dello stato, ingrassando le tasche di quei pochi, collusi o pescecani, che possono permetterselo. Ma il popolo che ne pensa? Urla isolate e frastornate dai continui cantieri aperti lungo il suo tragitto, murati dalle barriere, esclusi dall’aria, dalla vista, dalla vita. Qui passa la TAV. Qui non passa l’uomo. L’umanità segue il progresso, si identifica nelle evoluzioni di trasporto proprie di tutti gli altri Paesi europei. Velocità in Francia, con un costo totale dell’opera dimezzato rispetto a quello italiano; velocità in Spagna, dove si spende ancora meno; velocità in Italia, ladrocinio in giacca e cravatta, vestito bene, il vizietto italico sta nei motti imbelli di dirigenti che si gongolano nel motticello formale, come quello tanto vezzeggiato dal responsabile Tav di Napoli, riferendosi ai lavori di scavo fatti per la tratta Roma – Napoli che hanno portato alla luce reperti archeologici: “Abbiamo costruito una linea lunga soltanto 200 chilometri ma profonda 5000 anni”. Ed intanto gli operai che lavorano alla realizzazione della linea hanno dei contratti semestrali, hanno dei turni di lavoro logoranti, muoiono in galleria.

Da Afragola a Tor Sapienza, la TAV percorre l’Italia ed il no si espande. La protesta in Val di Susa è soltanto la punta del No, l’apice di un dissenso lungo quanto la lunghezza della linea. La valle non si tocca, la montagna non si trafora per la pericolosità degli effetti collaterali di particelle di amianto che formano la base naturale del massiccio, ovunque essa passi prosciuga, soldi e fiumi, come le falde acquifere della Toscana che si prosciugano, per sempre. Impossibile astenersi da un’opinione propria quando si discute un fatto tanto attuale quanto caldo come questo. Ed io mi aggiungo alle urla a caso. Io non mi sento di dire NO alla Tav, l’umanità va assecondata, bisogna lasciare che percorra, anche ad alta velocità, le vie del progresso attraverso un veloce collegamento europeo. Io dico NO al vizio italiano del pescecane vestito da dirigente, dico NO alla collusione mafiosa, dico NO al prendere dalla terra senza compensarla in alcun modo, dico NO alla campagna promozionale per l’alta velocità filo-razzista, dico NO all’inettitudine ingegneristica ed all’ipocrisia dirigenziale, dico NO a chi espropria una terra non sua, dico NO alla speculazione finanziaria che ci manda in crisi per realizzare un’opera che negli altri Paesi europei è costata meno della metà. Infine, dico NO alla disumanizzazione imprenditoriale e collusa. L’Italia nascosta dietro una giacca e noi imbavagliati dietro una cravatta.

I due registi si uniscono anch’essi al NO, lo sostengono raccontandoci tutto quello che dobbiamo sapere, preparano il terreno all’analisi di un fenomeno tutto italiano, creano un documentario molto articolato, studiato, argomentato e consapevole delle ripercussioni su tutto ciò che la TAV attraversa, bilanciando i vantaggi, (di) pochi, con gli effetti collaterali, (di) tanti. É mai possibile realizzare in Italia qualcosa per gli altri e non per se stessi? Evidentemente ancora no. In un Paese dove chi denuncia viene allontanato, recluso, suicidato dallo Stato, come Sole e Baleno, due ragazzi attivisti infangati dai mass media come eco-terroristi, le prime due vittime di una “Grande Opera”. Uccisi dal loro NO, frantumati da un ideale di protesta, bocche tappate, per sempre, bendate e pubblicamente schernite. Il vizietto Italiano continua ad essere seminato, i piemontesi, in Val di Susa, ultimo avamposto del no, continuano a biasimarlo. Speriamo riesca ad imporsi chi ama la propria terra. Che nessuno tocchi la valle.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 12/02/2015

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