Festival di Venezia 2017: Presentazione del programma

La nostra introduzione al programma della 74esima Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia. La sesta consecutiva diretta da Alberto Barbera.

Chissà se, come dice Alberto Barbera, quella che ci aspetta al Lido sarà una vera e propria nouvelle vague del cinema italiano. Di certo, i film italiani selezionati per Venezia 74, sia in competizione che Fuori concorso e in Orizzonti, rappresentano quest’anno un numero estremamente cospicuo dell’intera selezione ufficiale. Più che si tratti di produzioni nazionali, tuttavia, ciò che suscita stavolta interesse è la varietà dell’offerta. Innanzitutto, si tratta di opere che si richiamano apertamente a una dimensione produttiva internazionale: partiamo da The Whale (Hannah), opera seconda di Andrea Pallaoro, già a Venezia nel 2013 con Medeas, qui alle prese con il ritratto intimo di una donna fragile psicologicamente, interpretata da Charlotte Rampling; passando per il primo film americano di Paolo Virzì, Ella & John – The Leisure Seeker, racconto on the road con Helen Mirren e Donald Sutherland. A questi due film in concorso, che si preannunciano decisamente diversi tra loro, vanno aggiunte quelle che possiamo considerare due scommesse: Ammore e malavita, il musical napoletano dei fratelli Manetti, sorta di seguito con variazione del precedente Song’e napule, e il secondo film di Sebastiano Riso, Una famiglia, che farà certamente discutere per le tematiche trattate (inseminazione artificiale e uteri in affitto). Tra Fuori concorso e Orizzonti, invece, troviamo le prime due puntate di Suburra, la serie Netflix diretta da Michele Placido, gli ultimi film di Susanna Nicchiarelli (Nico, 1988), Edoardo Winspeare (La vita in comune), Silvio Soldini (Il colore nascosto delle cose), Francesco Patierno (Diva!), Antonietta De Lillo (Il signor Rotpeter), ma soprattutto l’ultimo film italiano del grande Abel Ferrara sul quartiere romano di Piazza Vittorio. Se tale eterogeneità dell’offerta non manifesta certamente l’esistenza di una vera e propria onda in grado di proporre un’estetica nettamente riconoscibile, la tendenza sembra quella di un tentativo di proporre più che altro, al pari di un Festival come Cannes, una vetrina per l’industria cinematografica nazionale. Solo il responso della sala potrà dirci quanto questo tentativo sia stato riuscito.

Film italiani a parte, l’edizione di quest’anno denota come di consueto una particolare attenzione nei confronti del cinema americano (George Clooney, Alexsander Payne, Paul Schrader, Frederick Wiseman, Guillermo Del Toro e l’attesissimo Darren Aronofosky), francese (Robert Guediguian, Abdellatif Kechiche e Xavier Legrand) e inglese (Martin McDonagh e Andrew Haigh) a discapito del cinema africano ed est-europeo, scarsamente considerati. Uniche eccezioni il cinema del Medio Oriente, largamente rappresentato in Concorso (Ziad Doueiri e Samuel Maoz) e in Orizzonti (con gli iraniani Ali Asgari, Vahid Jalilvand, Alireza Khatami e gli israeliani Tzahi Grad e Amichai Greenberg) ed il cinema dell’Estremo Oriente che vede in concorso due film cinesi (la scommessa Human Flow, documentario dell’artista dissidente Ai Weiwei, e l’opera seconda di Vivian Qu, regista che si era già affacciata al lido nel 2013 con il piccolo gioiello Trap Street) e il giapponese The Third Murder di Hirokazu Kore’eda, grandissimo cineasta scoperto a Venezia nel lontano 1995 con Maborosi e poi divenuto negli anni un affezionato del Festival di Cannes. Senza dimenticare, ovviamente, i pesi massimi John Woo (Manhunt) e Takeshi Kitano (Outrage: Coda), che a Venezia porteranno Fuori concorso due opere in linea con la loro inconfondibile poetica.

Immancabili ogni anno quelli che si preannunciano come film-scandalo: il documentario su padre Amorth di William Friedkin (fuori concorso); il film di mezzanotte Brawl in Cell Block 99 di S. Craig Zahler (anche questo fuori concorso), presentato da Barbera come il film più violento della Mostra; il curiosissimo documentario su uno studente antropofago, su cui sono stati già messi in guardia gli spettatori più sensibili, Caniba del duo Lucien Castaing-Taylor e Verena Paravel (in Orizzonti), lanciati a Locarno nel 2012 con l’impressionante Leviathan. Da segnalare, sempre in Orizzonti, anche il nuovo film del giovane e talentuoso cineasta francese Damien Manivel (La nuit où j’ai nagé), qui in coabitazione con il giapponese Kohei Igarashi, che promette di essere una delle più gradite sorprese del programma.

La selezione viene infine completata da un onorevole parterre di documentari, alcuni dei quali firmati dai più importanti autori della storia del cinema americano: oltre al già citato film sulla New York Public Library di Frederick Wiseman, non vediamo l’ora di vedere la mini-serie “ibrida”, prodotta da Netflix e diretta da Errol Morris, Wormwood, basata sulla misteriosa scomparsa dello scienziato dell’esercito americano Frank Olson.

Autore: Damiano Garofalo
Pubblicato il 29/08/2017

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