Dossier Steven Spielberg / 9 - L'impero del sole

Una scintilla di vita in uno scenario di morte. Da Ballard a Spielberg.

Se volessimo dare una data di nascita all’inner space, teorizzato dallo scrittore britannico James Graham Ballard, la datazione coinciderebbe con l’esperienza di un evento vissuto. Una formazione di una fantasiosa e giovane anima percorsa dalla guerra, consumata e precocemente cresciuta durante l’attacco dell’esercito nipponico alla Cina durante il Secondo conflitto mondiale. Il futuro autore di fantascienza, padre di uno spazio interiore recondito, di una fantascienza dell’animo, gola interna dove arrivare a sondare l’infinito della psiche umana, crea da questa personale esperienza un gate intragalattico utile ad auscultare le profondità della propria identità; riscontrando in esse galassie trasversali riconoscibili in tutto il genere umano osservato. Galassie racchiuse e circoscritte – dopo l’anabasi esistenziale raccontata in questa sua autobiografia romanzata - all’interno di ville e spazi chiusi medio borghesi, consorzi residenziali investiti dall’inner space dell’autore, che fuoriesce e contamina il mondo esterno, il suo stesso ceto sociale.

Le ali (Wings, dal fumetto nel film) di un ragazzino, appartenente all’alta ed agiata borghesia inglese riunita in un quartiere coloniale di Shangai, vengono spezzate dalla Storia e rimontate, dopo anni di prigionia, da mani oramai rese adulte dall’esperienza del conflitto. Restando il più possibile fedele al romanzo biografico, che già di per sé si traduce in finzione letteraria - avendo escluso dal racconto i genitori anch’essi veramente internati nei campi di concentramento nipponici (omissione volontaria adottata da Ballard per restituire una linearità narrativa più omogenea del romanzo) - Spielberg torna a parlare del Secondo conflitto mondiale soffermandosi sul fronte asiatico. Se i giapponesi, precedentemente rappresentati nella follia caustica di 1941, appaiono come marionette imbelli, parte integrante di una isteria virale che implode nel cuore degli americani, in L’impero del sole, ci vengono restituiti come anime pure in bilico tra la vita e la morte, fautori di riti di passaggio sacrificali, capostipiti di una cultura della guerra versata nel sacrificio adoperato per il bene della propria nazione. La fantasia del giovane Jim si concretizza, ingigantendo i contorni degli aeroplani e rendendoli veri e pericolosi. Interpretato da un giovanissimo, e bravissimo, Christian Bale che si carica del peso interpretativo dell’intero film, Jim passa dall’agio borghese all’inferno della guerra, in una catabasi di formazione adolescenziale e di visione del mondo che lo cambierà alle radici del suo stesso essere. Spielberg è bravissimo a non generalizzare sull’aspetto sociale, mantenendolo iscritto al personaggio, come un intimo crollo verticale, cercando quindi di mantenerlo solo nella coscienza del protagonista, che solo vivendolo può iniziare a rendersi conto concretamente della povertà, della sfortuna e dell’infelicità che circondava l’agio iniziale e la caratura sociale coloniale della sua famiglia. Insieme crollano anche le fantasie del ragazzo costretto a sopravvivere custodendo l’ingenuità fanciullesca solo all’interno di una valigia, scrigno di sopravvivenza da tenere sempre pronto per una nuova fuga e spostamento. La circolarità del film diventa lo strumento necessario per risolvere un ciclo di consapevolezza e di crescita; il film si apre sull’acqua mentre scorrono sulla sua superficie fiori e bare di legno tagliate dal passaggio di una barca, allo stesso modo, il film si conclude ugualmente sullo specchio dell’acqua che adesso trasporta la valigia che contiene i sogni infantili del ragazzo, oramai corrotti e macchiati dall’esperienza della guerra. Il senso del meraviglioso spielberghiano continua a manifestarsi attraverso lo svelamento dell’incredibile, che siano i dinosauri estinti del parco giurassico o gli aeroplani, Zero o P-51 Mustang, de L’impero del sole, costituiscono il sense of wonder che si alimenta dello sguardo giovane ed osservatore della guerra, trasfigurandolo attraverso la fantasia di chi vede il sogno prendere forma nella realtà, concretizzandosi poi attraverso il cinema negli occhi e nel cuore dello spettatore. In una realtà dove la morte diventa visibile Jim - rappresentato simbolicamente nella scena delle scintille e dell’aereo – è la forza alla sopravvivenza che scorre nelle vene degli adulti; se intorno la guerra uccide con le sue bombe, se nei campi di concentramento si muore di malaria o dissenteria, il ragazzo corre e vive restituendo agli altri la voglia di vivere attraverso un regalo composto d’immaginario e d’evasione lontano dalla crudeltà del reale. La Sig.ra Victor è legata al ragazzo attraverso un doppio cordone ombelicale, da una parte è il figlio del suo status sociale, dall’altra è la forza che ancora la mantiene in vita. Nell’unica occasione in cui Jim si allontanerà da lei, questa riuscirà morirà circondata da un campo di anticaglie borghesi, oggetti sottratti dai giapponesi nelle case delle famiglie inglesi di Shangai.

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La vita attraversa vari livelli di morte. Dalla morte sociale alla morte fisica, dalla morte rituale legata al campo di aviatori kamikaze, alla morte dei sogni della fanciullezza infangati dalla una realtà brutale, e se in Jim la propria scintilla vitale porta alla sopravvivenza ma anche ad una consapevolezza dell’età adulta, al giovane ragazzo giapponese non rimarrà nient’altro che la frustrazione di un desiderio/sogno interrotto, senza quella consapevolezza della fine in grado di trasformare l’orrore in insegnamento, ed una volta perso questo non gli rimarrà nient’altro che abbandonarsi alla morte per mano americana. E se i sogni che si possono avverare sono prerogativa esclusiva dei bambini, Jim, oramai adulto, proverà a rianimarne il corpo ("Io posso riportare tutti alla vita, proprio tutti") senza riuscirci, corpo che per un brevissimo frame sarà sostituito con lo stesso del ragazzo, simbolo inequivocabile di una fanciullezza morta nel fango del campo e nell’orrore del conflitto. Particolare attenzione va indirizzata anche sul personaggio, interpretato da John Malkovic, Basie, americano costretto al confino nel campo ed amico di Jim, nonché personificazione adulta del ragazzo stesso. La sopravvivenza passa attraverso delle relazioni sociali da tessere in maniera oculata ed intelligente, attraverso quella scintilla di furbizia e malizia che in guerra mantiene l’uomo in vita, sintetizzando l’insegnamento morale nella battuta che rivolge a Jim mentre giace sulla branda dell’ospedale del campo: "E’ all’inizio ed alla fine della guerra che bisogna fare attenzione alla pelle, in mezzo è come un circolo del golf, per restare vivi bisogna farsi le amicizie giuste". Insegnamento di vita e di sopravvivenza che Jim avrà la possibilità di ripercorrere e ricordare una volta divenuto adulto, pronunciato da un personaggio che tendenzialmente inizia a rappresentarlo. "Come se Dio avesse scattato una fotografia", queste sono le parole di Jim mentre descrive ed osserva in cielo uno spazio oramai privo di sogni e di aerei, vedendo una spasmodica onda d’urto delle due atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki. Quella luce bianca che attraversa il tempo e lo spazio annullando le età ed i nazionalismi, ponendo fine, in maniera devastante, al Secondo conflitto mondiale e ad una – microscopica nella macroscopìa della Storia – narrazione di formazione dall’età adolescenziale a quella adulta. L’impero del sole è un film spielberghiano a tutti gli effetti, che riesce attraverso la narrazione, biografica, a restituire il bisogno della vita all’interno del senso della morte.

Un inno alla vittoria ed alla vita nella sopravvivenza al conflitto, in una guerra dove tutti perdono gli unici che vincono sono quei caratteri e personalità che – rimanendo bambini, ed alla luce di questa riflessione il cappotto rosso di Schindler’s List si carica di una dimensione ancor più drammatica – riescono a sopravvivere. D’altronde "morire è come perdere la guerra".

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 16/11/2015

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