Chapter 27

Sebbene il film di cui si parla abbia ricevuto una grande attenzione dalla critica internazionale, forse più per le polemiche ad esso legate che per la sua qualità tecnica, il mercato italiano, per ragioni ancora poco chiare, ha deciso di ignorare una delle opere prime più brillanti degli ultimi anni. Non è un caso che per scrivere questo articolo siano state non poche le difficoltà per reperire una copia “legale” del film. A distanza di ben cinque anni dalla sua uscita (è del 2007) si ritiene sia utile parlarne, con la speranza di farlo riemergere da un rimosso, non tanto collettivo, ma di mercato.

Intanto è utile chiedersi del perché di tanto chiasso su Chapter 27. Prima di rispondere a tale domanda è necessario fare una premessa. L’opera di Jarrett Schaefer parte da un fatto noto, che dal punto di vista mediatico si è soliti definire “evento inatteso” inteso nell’accezione di avvenimento imprevedibile, capace di scuotere il mondo intero, fatti che in qualche modo hanno a che fare con il mito e la sua morte, decesso che ne decreta in via definitiva l’istanza assoluta di sacro e quindi di mito, appunto. La storia del novecento è disseminata dalla produzione e quindi creazione “inattesa” del mito – ce lo dimostrano fatti recenti come la morte prematura di Amy Winehouse, che come immediata conseguenza ne ha designato il ruolo di leggenda contemporanea. Il mito di Amy Winehouse, ma anche di John Lennon per ricollegarci immediatamente al film, è stato originato e quindi ha cominciato ad essere solo a partire dalla sua morte terrena. È possibile affermare che la morte ha di contraccolpo restituito alla musica della Winehouse (o di John Lennon) un’aura, intesa come “autenticità”. Il concetto di aura è noto grazie allo studio lucido e appassionato sulla “riproducibilità tecnica” dell’opera d’arte di Walter Benjamin. Il filosofo tedesco ci dimostra in primo luogo come l’autenticità e quindi l’aura di un’opera d’arte, di un oggetto o luogo sia data fondamentalmente dalla presenza di una lontananza e quindi di un’assenza. E’ facile intuire come il concetto di aura sia venuto a mancare nel momento in cui si sia verificata una vicinanza dell’oggetto attraverso la sua riproducibilità, perdendo in via definitiva il suo senso di autentico. Tale fenomeno dice Benjamin si è potuto consolidare solo ed esclusivamente a partire da una massificazione della società che ha posto come fondamento assoluto delle sue radici la vicinanza dell’oggetto come “superamento dell’unicità di qualunque dato mediante la ricezione della sua riproduzione”. Ma se l’esigenza moderna di riproduzione dell’oggetto ha prodotto un decadimento dell’aura rendendo necessario una mercificazione dell’opera d’arte, è facile intuire come ad essere mercificato non è soltanto l’opera in sé, ma anche e soprattutto l’artista. Nella società di massa l’artista è posto continuamente nella condizione, così come le sue opere riprodotte, di entrare in stretta vicinanza con i suoi consumatori. Per dirla in altre parole più un artista è vicino al suo pubblico più ne è facile decretare un successo. Ma mettiamo il caso che un “evento inatteso”, come ad esempio la morte dell’artista, interrompa questa condizione necessaria di vicinanza, cosa si viene a verificare? Si crea, come è facile interpretare, un’assenza, che restituisce un’aura, non tanto all’opera che rimane nella sua condizione di riproducibilità, ma all’artista, che sulla base della quantità di successo, e quindi di vicinanza terrena diviene ora mito e leggenda. Presente e quindi vicino grazie alle sue opere, ma sacro in quanto assente come presenza fisica e terrena.

Chapter 27 di Jarret Schaefer ha la pretesa di confrontarsi appunto con il mito, ovvero l’uccisione di John Lennon, probabilmente uno dei fatti mediatici più “inattesi” della storia del novecento, evento luttuoso e traumatico con una risonanza mondiale, assenza insostituibile per milioni di persone. John Lennon con la sua morte non era più un mito, ma era diventato il mito. Ma allora perché, ci siamo chiesti in principio, tante critiche per un film? È giunto il momento di dare una risposta a tale domanda. Chapter 27 racconta sì questo momento fondamentale e definitivo della morte di John Lennon, ma lo fa attraverso il punto di vista allucinato e psicotico del carnefice, ovvero di Mark David Chapman. È lui il vero protagonista del film, John Lennon non è che una cornice, una presenza che è assente per tutto il film. In questo modo il film sembra preannunciare già una costruzione mitologica del cantante, restituendoci invece il lato umano e terreno di chi lo ha assassinato. Le critiche adesso si spiegano, sono in molti infatti a sospettare, compresa Yoko Ono, la moglie di Lennon, che il film voglia in qualche modo giustificare o esaltare il killer. A nostro avviso le intenzioni di J. Schaefer hanno un carattere decisamente diverso, in quanto il film non elogia, non condanna, ma indaga in modo sottile i fondamenti psicologici del personaggio, tratteggiando in modo chiaro le ossessioni che lo hanno portato alla tragicità del gesto. Attraverso la storia di Mark David Chapman si viene a contatto con le patologie nevrotiche e psicotiche dell’uomo moderno che ne designano il disadattamento del soggetto al contesto sociale e la sua totale distruzione, fisica e psichica. Non è la mostruosità del quotidiano quanto il dirottamento delle pulsioni represse che prendono sfogo nell’atto eclatante. È il racconto dell’Io debole che cerca di trovare un posto nel sociale. Sono i dettagli vicinissimi del corpo di Chapman, ripresi magistralmente da Schaefer, a rivelarci un disagio, quel disagio che si traduce in ossessione che solo la morte di John Lennon può placare. È ciò che rappresenta Lennon che Chapman vuole eliminare, il simbolo dell’ipocrisia del moderno. Il cantante predicava nelle sue canzoni un mondo senza proprietà, ma di suo possedeva le ricchezze più impensabili.

Possiamo affermare che Mark David Chapman sia il carnefice ma anche la vittima di una società basata sui falsi ideali del successo, creatrice mediatica di miti “nell’epoca della riproducibilità tecnica”.

Autore: Roberto Mazzarelli
Pubblicato il 18/02/2015

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