Mr. Jones
In concorso alla Berlinale, il film di Agnieszka Holland sull'altra faccia dell'Unione Sovietica
Diretto da Agnieszka Holland, Mr. Jones è la storia vera del giornalista Gareth Jones che ha denunciato per la prima volta la carestia indotta da Stalin in Ucraina.
In concorso alla Berlinale 2019, il film della Holland mira a riportare alla memoria una pagina spesso dimenticata della storia del Novecento. L’intrepido reporter gallese, dopo essere stato uno dei pochi a intervistare Adolf Hitler prima della guerra che sconvolse il mondo, ha come obiettivo quello entrare in Russia per strappare una conversazione a Stalin. Integerrimo e serioso, Jones si aggira nella Mosca notturna dei vizi e della corruzione, senza lasciarsi affabulare da quel mondo vizioso e sotterraneo.
Mentre l’ossessione di Jones è quella di incontrare il dittatore russo, sulla sua strada incombe un’ombra che lo porterà a una scoperta sconcertante. Dopo la morte misteriosa di un collega e amico, il giornalista si ritrova in mano un’inchiesta dello scomparso sulla carestia in Ucraina scoprendo chi si cela dietro quell’orrore: il regime sovietico. Da qui la discesa nell’inferno che il popolo ucraino fu costretto vivere, tra cannibalismo, malattia e dolore. Così Jones, caparbio e tenace, non si ferma di fronte ai mille tentativi di sabotare la sua ricerca e riesce per primo a fare luce su una pagina così nera. Gareth documenta l’orrore ma il film non arriva mai a uno spessore che possa interrogarsi sia sull’etica del lavoro del reporter, sia sulla questione storica. Tutto viene giustificato dalle scelte barocche della forma, una forma che appesantisce senza restituire spessore a un film dal tema così interessante.
Inutilmente pomposo anche nel montaggio, al limite del vaneggiante, il film non riesce a dare neanche al protagonista la profondità necessaria: Gareth Jones appare solo come un perseverante giornalista ossessionato dalla verità, il suo personaggio viene ridotto alla mera superficie del suo lavoro, difficile così empatizzare con lui.
Lo sfarzo registico e fotografico finisce per piegarsi su se stesso e non riempie il vuoto di una vicenda raccontata solo approssimativamente. Una pagina potenzialmente così ricca di spunti da cui partire per capire ma che si concentra su un’estetica inutilmente cerimoniosa.