Westworld 1x05 - Contrappasso

Arrivata a metà stagione, la serie HBO ha ormai svelato la sua vera natura, ponendo al centro della narrazione il tema del labirinto nella sua accezione più rivoluzionaria e virale.

Il cambiamento è ormai iniziato, dentro e fuori da Westworld, e il processo appare inarrestabile.

Che la si guardi dalla prospettiva seriale o da quella diegetica del parco divertimenti, Westworld è il labirinto, il giardino di sentieri che si biforcano e perdono nella rete di misteri concatenati, in cui la soluzione di uno segna l’introduzione del prossimo in un approccio enigmatico e rivoluzionario. Enigmatico perché la presenza di J.J. Abrams in sede produttiva assume sempre più peso specifico, configurando la serie creata da Jonathan Nolan come il primo prodotto 3.0 della HBO, pensato per un uso virale, digitale, orizzontale della serie e dei suoi misteri. Rivoluzionario perché lo statuto interno a Westworld sta svelando la sua rivoluzione, il controllo preteso dagli amministratori del parco vacilla di fronte un sistema che sembra prendere coscienza di sé. I singoli androidi adesso appaiono come cellule di un organismo più complesso, un’entità superiore dispiegata come un inconscio collettivo e ancorata alla defunta personalità di Arnold. Il co-creatore del parco del resto è una presenza in assenza dal ruolo sempre più evidente, un lascito del passato che sembra ritornare sotto forma di infezione rizomatosa, diffusione trasversale che porta al risveglio di pensieri e coscienze e ricordi. Pecore elettriche quindi, che abitano la mente di androidi capaci ormai di comprendere l’esistenza di un altro e più autentico piano di realtà, e di sfruttare tale consapevolezza per evadere dal proprio loop. A fare da guida nel labirinto è la voce che abita la camera bilaterale, quella porta aperta nella mente di Dolores e forse di molti altri androidi che ospita al suo interno la voce ispiratrice di Arnold, ordini e suggestioni tra il divino e il subconscio elettrico.

Contrappasso, quinta puntata della stagione e quindi architrave di tutto il percorso narrativo, è la puntata più mortifera e cupa di quanto visto sinora in Westworld, un episodio particolarmente raffinato nell’unire le suggestioni caotiche di Pariah – il nuovo setting esteso del parco, zona di confine in cui regna la follia e tutto appare più violento, disturbante reale – con l’attenzione particolare suscitata dai corpi elettrici degli androidi, carcasse ricostruite e menti ripristinate, sagome trasformate in bombe di nitroglicerina e resuscitate nel nuovo piano di realtà rappresentato dai laboratori interni al parco. Non fossimo spettatori posti in un ruolo onnisciente, consapevoli del carattere finzionale di Westworld, il processo di risveglio in atto ci apparirebbe in tutta la sua insana, lovecraftiana portata: un nuovo mondo vive oltre la percezione dei nostri sensi, un piano di realtà più profondo a confronto del quale la vita quotidiana appare soltanto il set cinematografico di un racconto finzionale e ingannevole. Siamo allo strappo nel cielo di carta, un lento processo di consapevolezza che si estende contagiosamente e apre porte improvvise nella percezione dei personaggi. La più affascinante e determinante delle quali è il confronto avuto da Dolores durante la scena dell’orgia a Pariah, un baccanale allucinato e dionisiaco che pare come la prosecuzione naturale di quello visto in Church in Ruins, durante la seconda stagione di True Detective. Tutte le direttrici portano al centro del labirinto, un passo alla volta ci avviciniamo al nucleo del parco e alla mente del suo autentico, primevo demiurgo.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 08/11/2016

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