The First Shot

Il naufragio nel tempo della generazione post '89 nella Cina contemporanea

Il primo colpo battuto il 10 Ottobre del 1911. Con la Rivolta di Wuchang inizia in Cina la Rivoluzione Xinhai che portò al crollo la dinastia imperiale dei Qing e alla costituzione della Repubblica cinese. Il secondo colpo battuto nel Luglio del 1921, dove a Shangai venne fondato il Partito Comunista Cinese. Il terzo colpo giunse alla fine del 1931, quando la figura sempre più predominante di Mao Zedong fondò la Repubblica Sovietica Cinese, enunciando il principio di dittatura del proletariato. Il quarto colpo, prima del crollo dell’ideale rivoluzionario del 1989, quarant’anni prima della protesta di piazza Tienanmen, venne battuto il 1 Ottobre del 1949 con la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese di Mao.

Cosa rimane oggi? Chi rimane oggi? Come si è stratificato il senso della storia nelle coscienze dei nati dopo il 1989, nati dopo il crollo dell’ideologia? The First Shot, presentato in concorso alla 53a edizione della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, segue e completa il precedente cortometraggio Tomba del tuffatore - anch’esso presentato a Pesaro nella precedente edizione - dove il duo registico formato da Yan Cheng e Federico Francioni si soffermavano sui detriti di ciò che rimane della cultura, ed arte classica, nella costiera amalfitana al giorno d’oggi. Nuovamente è il tempo che scorre bloccato tra un passato irraggiungibile ed un presente commerciabile a definire il senso dell’operazione. Se nel precedente lavoro la fissità delle inquadrature cristallizzava l’idea dello scorrimento temporale, in The First Shot, sono tre personaggi, Haitao, Yixing, e Yiyi ad avere il compito di creare un’inerzia tra la cultura, il passato storico, politico, sociale ed il presente di una Cina in costante mutamento. Un’evoluzione che trapassa i corpi della gioventù, giovani internazionali, che hanno vissuto all’estero per poi tornare nella loro terra. Corpi che non riescono a trattenere il tempo storico della propria nazione, che gli scorre tra le mani, che muta topograficamente la città, che impedisce la diffusione, tramite la censura, delle idee, che sopprime il futuro, che disconosce la realtà famigliare a chi è emigrato. Ognuno si crea un metodo di attrito per non scomparire, per non soccombere ad una realtà che mutando li investe. Chi restando connesso tramite la rete ad un mondo virtuale, che lo distanzia dalla quotidianità ma che allo stesso tempo gli impedisce la libera espressione; chi sopravvive proiettando su di una parete bianca del suo appartamento, ad un piano alto di un grigio alveare, i resti audiovisivi di ciò che (ri)conosce mentre la città, al di là della sua vetrata, cambia proiettando su di lui la sua ombra multiforme, polimorfa, annichilente; chi arriva a non riconoscere i luoghi dove si è cresciuti, i volti dei propri genitori, non sapersi riconoscere nelle foto appese ai muri della propria vecchia casa, e tornare quindi a fuggire la realtà che più non gli appartiene.

Corpi decentrati dal tempo, naufraghi alla deriva di un presente che ondeggia, tumultuoso, scossi da una riva all’altra, da una sponda su di un passato superato alla riva opposta, posta su di un futuro incerto, vite che si lasciano vivere dal tempo che vivono. Corpi percossi, corpi come percorsi tra le macerie, identità in ristrutturazione, in completamento. Particelle di vita in un substrato scosso da un tellurico movimento ondulatorio, mossi dal tempo, agitati dall’evoluzione storica e sociale, senza un punto fermo, senza un’appartenenza, in una quiete solo apparente. Corpi che stazionano nel vuoto, tuffatori che oramai si sono staccati dalla piattaforma che li sosteneva, corpi che non riescono più a cadere; corpi giovani in aria, senza passato, senza presente, senza futuro: sospesi, tra l’Impero e l’età moderna.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 14/06/2017

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