The Crown

L'eterna lotta tra Potere e individuo nel primo tassello della storia di Elisabetta II, nuova serie Netflix realizzata dallo sceneggiatore Peter Morgan

We are half-people, ripped from the pages of some bizarre mythology... the two sides within us, human and crown, engaged in a fearful civil war that never ends.

Il Potere come entità disincarnata, il Potere nelle sue incarnazioni.

Il dualismo tra il ruolo sociale di un monarca e l’essere umano che quel ruolo ricopre è un tema eterno e universale, che si trova al centro di due delle serie tv di maggior successo e risonanza delle ultime settimane: The Crown e The Young Pope. Due show differenti per stile e obiettivi, ma accomunati dall’idea di costruire un progetto estremamente ambizioso in grado di raccontare il Potere e l’eterno conflitto che esso genera nelle persone che lo incarnano, per eredità o per conquista.

Cosa accomuna questi due ruoli apparentemente così lontani? Innanzitutto, il loro Potere non è un potere reale: non sono figure politiche che promulgano leggi o decidono dei destini di un paese, non sono maître à penser intellettuali né creativi in grado di tradurre in arte le emozioni; lasciando da parte le convinzioni religiose o la tradizione, il loro potere si sostanzia quasi soltanto nella capacità di essere “altro” rispetto alla quotidianità, nell’ergersi solitari guardiani della continuità con il passato come rassicuranti ancore a cui devoti e sudditi possano aggrapparsi come conforto nel turbine delle loro vite qualunque.

Un Papa e una Regina, due figure fuori dal tempo chiamate a rappresentare Dei incarnati in un presente laico, prosaico, in cui la celebrità e lo status di semidio sono alla portata di tutti, almeno nella percezione. In un mondo in cui basta un reality show per diventare figura di culto, in cui la notorietà è non solo estremamente raggiungibile ma anche obiettivo della maggior parte delle persone, come si porta a compimento l’obiettivo di stagliarsi sull’uomo comune sulla scorta di tradizioni e riti consolidati?

Per il Papa di Sorrentino, rappresentante di un Potere profondamente immerso nel contemporaneo, così consapevole dell’importanza dei media e dei loro meccanismi da essere in grado di manipolarli attraverso l’assenza, si tratta di porsi come l’evento mediatico che “sta per avvenire”, con la consapevolezza di dover tornare ad essere misterioso, oscuro e distante per auto legittimarsi e distanziarsi dai fedeli.

Incutere il giusto timore reverenziale, rivendicando paramenti e convinzioni del passato, è la narrativa mediatica di Lenny Belardo, attuata in maniera così abile e sofisticata da trarre in inganno i media stessi, trasformando informazioni leakate in un grande trionfo di immagine.

Ma la storia dei rapporti tra Potere e Media inizia ben più lontano, e se il Papa sorrentiniano rispecchia così bene il presente, Elisabetta II è una figura-simbolo di questo scontro come poche altre: prima Regina incoronata in diretta televisiva – peraltro succedendo a un padre la cui balbuzie e la cui malattia erano state invece tenute facilmente nascoste ai sudditi – la Elizabeth (un nome da Regina che coincide col nome anagrafico, già indice di un profondo cambiamento culturale) di Peter Morgan in questa prima stagione di The Crown è ritratta al centro di un’epoca di transizione dei rapporti tra popolo e potere, così come tra popolo e celebrità.

Da una parte il trionfo dell’indipendenza e delle democrazie nel caos della ricostruzione post bellica, dall’altro la crescente influenza dei media nella vita quotidiana con l’arrivo della televisione e la scolarizzazione diffusa, che mette la stampa alla portata di tutti e inaugura una stagione di fulgore del giornalismo scandalistico; Elizabeth sale al trono proprio mentre la “società dello spettacolo” (anche se la teorizzazione di Debord nel 1967 è ancora lontana) si sta formando ed è costretta a fare i conti con nuove regole del regnare, impegnandosi a traghettare un’istituzione millenaria tra le onde di una società sempre meno disposta ad accontentarsi di Misteri e riti, ma anche bisognosa di una continuità culturale indispensabile in tempi di crisi e cambiamenti sociali radicali.

The Crown è dunque una biografia ed è anche il racconto di un’epoca, ma non è semplicemente un grande melodramma storico; è una riflessione attenta e misurata sul conflitto tra l’identità di un monarca e il suo ruolo pubblico, con un’attenzione particolare rivolta all’esterno, a come queste identità vengono comunicate e percepite non solo dai sudditi ma anche da coloro che si muovono attorno alla Regina: familiari, dipendenti, amici, potenti di ogni tipo.

Quando Elisabetta sale al trono, è una ragazza appena sposata ben lontana dall’essere davvero preparata a ricoprire così presto un ruolo tanto gravoso, cui il senso del dovere chiarisce ben presto il drastico cambio di priorità a cui la sua vita sarà, da quel giorno, assoggettata.

Pur essendo dentro di sé due Elisabetta, la Regina e la moglie, madre, sorella e figlia, la sua coscienza e il senso di responsabilità verso la tradizione di continuità non le consentono mai di essere indecisa su quale sia la metà di sé che dovrà sempre, anche a dispetto dei suoi desideri, prevalere. La sua natura di donna semplice, poco istruita, interessata a cavalli e cani più che alle frivolezze, la facilita certamente nel superare i proprio conflitti interiori: pur essendo una donna qualsiasi, né particolarmente intelligente né affascinante né carismatica, è proprio per questo una Regina migliore perché è in grado di scomparire come essere umano all’interno dell’armatura di sovrano già indossata da tanti prima di lei, adattandovisi e facendosi plasmare gradualmente da essa fino a che le due Elisabetta finiscono quasi per coincidere.

Ma la sua forza di volontà non basta per indurre anche chi la circonda ad accettare questo cambiamento, perché stiamo pur sempre parlando degli anni ’50 e di una donna che diventa la persona più potente del Commonwealth. Filippo, consorte amatissimo e marito felice fino a quel momento, è paradossalmente la principale forza a cui Elisabetta può aggrapparsi ma anche l’ostacolo più grande, perché annullare la propria carriera, la propria identità e i propri diritti sociali come marito per diventare un semplice Principe Consorte non è qualcosa che un uomo di quell’epoca, per quanto intelligente e innamorato, possa essere preparato ad accettare.

Gran parte della prima stagione di The Crown gira intorno allo scontro, ora latente ora esplosivo, tra l’orgoglio testardo di Filippo e la sicurezza stolida di Elisabetta, meno brillante del marito ma molto più consapevole di lui riguardo l’inutilità del conflitto; la grande tragedia del Potere che divora l’essere umano che lo incarna è vissuta da lei con rassegnazione, da lui con una ribellione che finisce per rendere il compito di lei ancora più gravoso. E anche se sappiamo dalla Storia che il loro legame è abbastanza solido da sopravvivere a questo turbolento periodo di adattamento, è impossibile non apprezzare il lavoro di Morgan sull’intreccio costante di sentimenti e politica per costruire delle figure che dalle pagine di libri e tabloid prendono vita, narrate con un occhio mai agiografico ma indagatore e interessato, che li usa per costruire un melò dai contorni circoscritti all’epoca ma dalle sfumature molto contemporanee.

Lo stesso lavoro così accurato è dedicato al rapporto di Elisabetta con Winston Churchill – sicuramente l’uomo più importante nella vita della regina dopo il padre e il marito – che in questa prima stagione ricopre il ruolo di mentore della giovane sovrana, cui insegna a districarsi tra le trappole della burocrazia e dell’etichetta, ma è allo stesso tempo ritratto come un uomo allo sbando, che non accetta lo scorrere del tempo e spesso ha più bisogno di aiuto di quanto sia capace di darne.

Il quarto episodio, Act of God, è la perfetta rappresentazione di questa fragilità: Churchill protegge Elisabetta così come protegge l’Inghilterra, con un paternalismo tradizionalista che non si pone domande e non mette in discussione le proprie decisioni finché non è troppo tardi. Il momento in cui la nebbia ha ucciso migliaia di londinesi e il premier si rende conto di avere sottovalutato il problema, è anche il primo momento in cui Elisabetta è davvero regina, davvero consapevole del ruolo che le spetta e della difficoltà di decidere quando sostenere gli uomini che la circondano, direzionandoli sommessamente e senza mai far sfociare la critica nello scontro aperto.

Per la prima volta, la ragazzina ignorante vede il Capo di Stato come un uomo anziano, debole, che ha bisogno del suo sostegno e del suo apprezzamento e che dovrà accompagnare fino al momento della morte (politica) naturale in cambio della protezione che lui le ha offerto e della chiarezza con cui è stato capace di definire i suoi compiti di sovrana quando tutto intorno a lei era caos e confusione.

Cosa si aspetta davvero l’Inghilterra da Elisabetta, al di là delle convenzioni e delle tradizioni? Questo è l’interrogativo che si pone la serie (che, con tutta probabilità, resterà anche il filo conduttore delle sei stagioni programmate) e che ancora più della biografia in sé rappresenta il lato più peculiare di questo lunghissimo regno che ha attraversato i momenti più importanti del ventesimo e del ventunesimo secolo. Il difficile rapporto della Corona con i media, l’invasività sempre più feroce con cui le vite dei Windsor sono sviscerate dalla stampa di tutto il mondo, l’ossessione collettiva per figure come quella di Lady Diana sono ancora di là da venire in questa prima stagione, ma nettamente presagite nel crescere dell’interesse morboso per le vicende private della famiglia.

La figura di Edward – lo zio che ha abdicato per amore di Wallis Simpson diventando un commoner che conduce una vita agiata proprio grazie all’interesse dei media per la sua vita – diventa quindi emblematica se contrapposta all’amore impossibile della Principessa Margaret per Peter Townsend. Accumunati dalla capacità istintiva (che ad Elisabetta manca completamente) di attirare su di sé le simpatie dei sudditi, sono però entrambi incapaci di gestire serenamente le rinunce e i doveri imposti a chi fa parte della Royal Family, ma con risultati opposti perché se Edward fugge dalla gabbia dorata del trono rifugiandosi nell’amore, allo stesso amore Margaret rinuncia, terrorizzata dall’incapacità di gestire una vita lontano dai riflettori che sempre più intensamente si puntano su di lei.

È proprio Edward, nel dialogo che citiamo in esergo alla recensione, a tradurre in parole il dualismo che muove tutte le vicende raccontate in questa prima stagione di The Crown, e che probabilmente accompagnerà l’intero corso dello show: pubblico e privato, amore e politica, immagine e sostanza, Potere e individuo lottano per sopraffarsi a vicenda nella convivenza impossibile tra l’essere umano e la figura deificata del Sovrano, al tempo stesso magica e tragica, e per questo infinitamente sfaccettata e affascinante.

Autore: Eugenia Fattori
Pubblicato il 30/11/2016

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