Song’e Napule

Paco Stillo è un napoletano tutt’altro che in sintonia con le sue origini: timido e imbranato, entra in polizia da raccomandato – la scena iniziale, con Buccirosso nei panni di un questore trafficone, è da antologia – ma non è certo il mestiere che fa per lui, che è diplomato al conservatorio e ha un animo fragile e all’apparenza pacato, poco incline al rischio e all’ostentazione di coraggio. Il commissario Cammarota gli affida però un delicato compito: Paco dovrà infiltrarsi nella band di un cantante neomelodico tamarro oltre ogni immaginazione, Lollo Love, che suonerà al matrimonio della figlia di un boss. E’ un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, perché a quelle nozze si recherà con ogni probabilità anche il famigerato Serracane detto ‘O Fantasma, camorrista e boia spietato che nessuno è però mai più riuscito a vedere in faccia da tempo immemore. Stillo diventa così Pino Dinamite, tastierista con tanto di ciuffo e presenza spigliata. Conosce Marianna, la sorella di Lollo, e si avvicina affettivamente sia a lei che al frontman del suo nuovo gruppo, nonostante si tratti di un mondo artistico e umano sulla carta anni luce distante dal suo. Le conseguenze esilaranti e catastrofiche insite in queste premesse esplosive, ovviamente, non tarderanno ad arrivare.

I fratelli Manetti sono degli alieni, nel cinema italiano contemporaneo. Il loro cinema è sempre più un’anacronistica riserva indiana nella quale trova asilo quell’idea trasversale di cinema di genere tanto vituperata, oggi, dalle fette più grosse del mercato distributivo. Non stupisce dunque che dietro la realizzazione di questo film ci sia la longa manus di Luciano Martino, un’autorità in materia di generi e sottogeneri che aveva adocchiato il progetto già prima di morire, facendo in tempo a palesare tutta la sua fiducia in questa storia accattivante e piena di personaggi, situazioni e dinamiche irresistibili. Song’e Napule è un esempio lampante di meticciato cinematografico fuori tempo massimo, in cui la commedia poliziesca degli anni ’70 viene rigenerata da una sceneggiatura che disegna in modo sgargiante e spassosissimo le traiettorie dei personaggi. Delle vere e proprie sagome, immerse in una jam session che alterna la freschezza del pop partenopeo agli echi funky di una colonna sonora che procede senza sosta per tutta la durata del film, attaccandosi ad esso come una ventosa. La simbiosi, in tal senso, non può che essere fruttuosa: l’ultima opera dei Manetti Bros realizza infatti una commistione in un certo senso fumettistica tra il tappeto musicale che l’accompagna e i contrassegni dei caratteri che da esso sembrano addirittura prender vita. Sono le sonorità a dettare toni e registri, a stabilire se è il momento di spingere il pedale dell’acceleratore sull’action movie o su una delle frequenti digressioni con protagonista Lollo Love e le sue hit improbabili (il video di Cuoricina è già online, e il personaggio è così iconico da poter camminare sulle proprie gambe anche in chiave extra-filmica). Emerge così un modello insolito di forma-canzone in cui è il singolo brano a tenere in mano le redini della faccenda, in modo autonomo e redditizio, come in ogni film musicale che si rispetti. Il genere è pertanto onorato in maniera quasi sacrale oltre che maniacale, a riprova del rispetto profondo dei Manetti per la tipologia filmica che si ritrovano di volta in volta a maneggiare, magari con pochi mezzi ma sempre con amor di filologia.

In questo territorio, i due registi rimangono dei sovrani indiscussi: autentici reucci di un regno (ancora) felice nel quale è possibile giocare come al luna park, mischiare le carte, divertire e divertirsi con colpi di scena, con una regia spartana ma sempre efficace quando non d’assalto (se li chiamano guerriglia filmaker ci sarà un motivo) e un ingranaggio ridanciano e investigativo oliato che è una meraviglia. Il finale del film si vive tutto in apnea, con un’impennata decisamente ben calibrata di tensione, romanticismo, dramma slapstick, regolamenti di conti e inseguimenti. Una giostra sulfurea e impazzita ma sempre col sorriso sulle labbra, che si permette anche il sacrosanto diritto di assestare una serie non indifferente di impudenti sberleffi alla malavita partenopea, ridicolizzandone gli esponenti più sanguinari attraverso riuscitissime escalation comiche. Come direbbero i Manetti stessi, sempre bravissimi, con spirito di sintesi ammirevole: “Nel nostro cinema non c’è ricerca. Solo libertà”.

Autore: Davide Eustach…
Pubblicato il 18/08/2014

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