Ritratto di famiglia con tempesta

di Hirokazu Kore'eda

Un intenso racconto della fine di una famiglia e di un sogno sfumato.

ritratto di famiglia con tempesta recensione film

Ritratto di famiglia con tempesta, passato nella sezione Un certain Regard dell’ultima edizione del festival di Cannes, è un nuovo tassello nel grande romanzo famigliare di Hirokazu Kore’eda. L’autore, instancabile cantore degli affetti famigliari e delle comunità umane, dedica la sua ultima opera ad un padre sconfitto e ad una notte di tempesta in cui la vita della sua famiglia arriva a una silenziosa, decisiva svolta.

Ryota (Abe Hiroshi) è uno scrittore che ha perso tante occasioni: quella di avere successo come romanziere, di diventare l’uomo che avrebbe voluto essere, di essere un buon marito e un buon padre. Ryota vive in un limbo fatto di debiti, frustrazioni e passione per il gioco ereditata da suo padre. Il rapporto con il figlio Shingo e la speranza di rimettere insieme i pezzi di un matrimonio fallito sono i punti fermi di una vita altrimenti sospesa e senza sbocchi.

In un giorno come un altro, un ciclone costringe madre, padre e figlio a trovare rifugio a casa della nonna. Mentre fuori infuria la tempesta, Ryota trova le parole e i sentimenti per articolare il proprio ruolo di padre ed elaborare il dolore della perdita e di un passato irrimediabilmente perduto.

Lo sguardo di Hirokazu Kore’eda è un bene prezioso nel cinema contemporaneo: nelle sue minuzie e nelle sue sfumature, l’autore costruisce un tempo di quieta riflessione e una cultura dell’emozione che pare ormai perduta. Ritratto di famiglia con tempesta si muove in punta di piedi nell’intimità famigliare che, non solo in Giappone, è fatta anche di silenzi, regole implicite, memorie accantonate. Gli eventi più importanti nella vita dei protagonisti sono già accaduti e irreversibili; a Kore’eda interessa, invece, mettere in scena l’onda lunga di questi cambiamenti sulla vita dei suoi personaggi. Raccontare il silenzio e la quotidianità è un’arte difficilissima, ma l’autore sa tessere i suoi campi medi e i suoi primi piani di indizi e dettagli che sanno raccontare, emozionare, costruire un paesaggio emotivo dietro ciò che non si dice.

Merita qualche parola in più la figura del padre, splendidamente interpretata da Abe Hiroshi. Ryota è un uomo pericolosamente in bilico, piegato ma non ancora sconfitto, con il volto di un ragazzo e il corpo di un cinquantenne; tra mille compromessi e altrettante ipocrisie, questo genitore senza vocazione combatte per non cadere nell’abisso dove è sprofondato suo padre prima di lui. Il ritratto di Ryota è vivido, tragico e intenso, e ricorda i grandi sconfitti della letteratura ottocentesca. Attraverso lo sguardo di Ryota, la rete delle relazioni famigliari si illumina e possiamo intuire cosa non ha funzionato e perché le madri, le sorelle e i figli sono andati lentamente alla deriva.

Ad ogni suo film, Kore’eda rende il filo narrativo più sottile per lasciare sempre più spazio ai quadri, alle descrizioni di un attimo, ai dettagli evocativi. In questo caso, non ci sono gli equivoci di Father and Son né i piccoli accadimenti di Little Sister a sostenere il racconto: tutto è già successo, Ryota ha già speso la sua giovinezza e anche la nonna sa bene che la sua vita è vicina alla fine.

Kore’eda sa giocare con questi vuoti narrativi per fare esplodere una "semplice" presa di coscienza come momento di intensa catarsi. Nel silenzio le emozioni ribollono, mentre gli spazi blandi e angusti di un quartiere popolare sanno farsi monumenti al passato e al rimpianto. Pare di trovarsi nei sobborghi giapponesi del cinema di Ozu dopo la grande mareggiata della crisi economica e demografica: restano gli anziani e le ceneri del passato, restano le torri abbandonate e gli scivoli ammutoliti.

Una serie di coincidenze e una tempesta riportano un bagliore di vita in questi territori urbani e antropologici. Una flebile speranza per il futuro, una muta intesa tra i membri di una famiglia ferita: tanto basta.

Poche parole e sguardi scambiati nel tunnel di uno scivolo portano alla luce lo specifico, indecifrabile sentimento di malinconia che è il vero soggetto del ritratto. Potremmo definirlo come il sentimento della fine: la fine di un sogno ormai insostenibile e della libertà della giovinezza, la fine di una famiglia che deve lasciare spazio a nuovi sogni e nuove relazioni. Quando scopre il sentimento della fine, Ryota si libera dal peso di un’intera esistenza e può, finalmente, aprirsi alla possibilità di una nuova storia di là da venire.

Autore: Alessandro Gaudiano
Pubblicato il 12/06/2017
Giappone 2017
Durata: 117 minuti

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