Mr. Peabody e Sherman

Mr. Peabody è un cane dotato di straordinaria intelligenza, è spiritoso, bravo in cucina e può sostenere qualsiasi conversazione. La sua cultura estremamente vasta gli ha permesso persino di vincere un premio nobel e di essere il consigliere di diversi presidenti degli Stati Uniti. Ciò che lo contraddistingue però non è tanto la sua genialità quanto il suo essere padre di un ragazzino, Sherman, adottato in tenera età.

È proprio attorno al motivo della paternità che ruota Mr. Peabody e Sherman, la nuova opera di Rob Minkoff, regista, tra gli altri, di Il re leone. Questo tema così profondamente americano viene traslato in un racconto avventuroso carico di suggestioni fantascientifiche, in qualche modo ispirate dal capolavoro zemeckesiano Ritorno al futuro. L’avvio dell’azione è innescata da Sherman, il quale per fare colpo sulla sua compagna di scuola Penny, utilizza il tornaindietro – macchina speciale messa a punto dal padre che permette di poter viaggiare indietro nel tempo – producendo, accidentalmente, un paradosso temporale. In loro soccorso verrà Mr. Peabody, chiamato non soltanto a salvare la vita dei due bambini e con loro il destino dell’umanità, ma soprattutto a sfidare i propri limiti di padre eccessivamente premuroso e dunque insicuro. Lungo un tracciato narrativo solido ma prevedibile vediamo i tre personaggi attraversare alcuni tra i momenti più importanti nella storia dell’uomo, dall’antico Egitto alla Grecia di Agamennone, dalla Firenze rinascimentale di Leonardo Da Vinci alla Parigi della Rivoluzione francese, in un susseguirsi di avventure sempre più spericolate, in bilico tra il bozzetto umoristico e la fascinazione storica. Robespierre è ritratto come un sanguinario vagamente effeminato, Leonardo come il tipico italiano gesticolante e gioviale, Agamennone – il più divertente del variegato gruppo – come un macho senza cervello.

Al di là degli stereotipi e delle scenette comiche il cuore dell’opera risiede però altrove, ovvero nel bizzarro rapporto tra un cane e un bambino, legati da un sentimento profondo. L’obiettivo è fin troppo chiaro: dipingere il ritratto di una famiglia alternativa mostrandone l’assoluta normalità. Non conta l’identità del padre ma solo le sue qualità. In fondo, come gridano a squarcia gola tutti i personaggi nella parte finale, “siamo tutti dei cani!”. La diversità, finalmente accettata dalla storia, viene accolta dalla società americana. I tempi che scandiscono il quotidiano possono riprendere a scorrere normalmente.

Autore: Giulio Casadei
Pubblicato il 17/08/2014

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