L'attacco dei Giganti

Dal manga di successo di Hajime Isayama un riuscito adattamento anime, capace di unire azione spettacolare e approfondimento psicologico

L’attacco dei Giganti nasce dall’omonimo manga, di genere sh?nen horror, scritto e disegnato nel 2009 da Hajime Isayama; il fumetto ha avuto un successo incredibile in patria (con quasi 30 milioni di copie vedute in due anni) e all’estero (in USA è stato a lungo ai primi posti delle classifiche di vendite). Nel 2013, grazie alla collaborazione tra Wit Studio e Production I.G. e sotto la guida del direttore Tetsur? Araki (lo stesso di Death Note), si arriva alla serie animata, meravigliosa e assai cruda messa in scena di uno spettacolo fatto di violenza efferata, pura disperazione e totale ineluttabilità di un destino tragico.

L’attacco dei Giganti gioca con il terrore e la rassegnazione consapevole di dover affrontare qualcosa da cui non pare esserci scampo. La serie infatti è ambientata in un Medioevo alternativo in cui all’improvviso appaiono dei giganti dalle sembianze umane, alti dai 3 ai 50 metri, dei quali nessuno è in grado di capire la provenienza, né cosa vogliano o perché siano apparsi. L’unica certezza è che i Giganti danno la caccia agli uomini, di cui si nutrono voracemente. La serie è impietosa nel mettere in scena tutte le sfumature degli effetti della paura e nel mostrare come sia facile rinunciare alla libertà e alla dignità pur di sopravvivere. Già, perché mai come in questo caso il nemico è un avversario quasi invincibile e l’istinto di sopravvivenza rende preferibile il vivere da reclusi, pagando un prezzo esistenziale assai salato, piuttosto che liberi ma esposti alle incursioni dei titanici nemici. La razza umana, ormai prossima all’estinzione, vive infatti rinchiusa dentro aree urbane protette da mura concentriche altissime. La società, come avviene sovente nei grandi momenti di crisi, reagisce delegando a pochi il compito di decidere per tutti e – come è facile immaginare – questo diritto si confonde molto spesso con l’abuso ed il sopruso.

La serie è contraddistinta da un lato dalle spettacolari e terrificanti sequenze dedicate alle battaglie contro i Giganti (realizzate, da un punto di vista grafico e tecnico, in modo superlativo), e dal senso di impotenza e terrore che si prova di fronte agli attacchi di una minaccia esterna invincibile, sconosciuta e spietata. Dall’altro, L’attacco dei giganti si fregia di un sorprendente realismo, alimentato da un forte individualismo ideologico, una profonda sfiducia nelle istituzioni, una grande fede nella scienza e un’agghiacciante ambiguità morale. Tutto ciò contribuisce a rendere la serie il vero e proprio punto di congiunzione delle principali influenze di due tra più importanti autori di anime degli ultimi cinquant’anni: Go Nagai e Yoshiyuki Tomino. Come Nagai, anche Hajime Isayama dipinge il Male come una minaccia esterna, colossale e misteriosa; entrambi gli autori, inoltre, danno grande enfasi ai momenti del combattimento, dove spesso le leggi della fisica e del buonsenso cedono il posto a una sospensione dell’incredulità legittimata dalla bellezza e dal fascino dello scontro, nel quale emergono e si contraddistinguono alcune individualità assai coraggiose e indomite (come quelle di Levi Ackerman, Elvin Smith, Dot Pixis). Tomino, invece, fu il primo a sfruttare l’ambientazione fantascientifica per catapultare il mondo dei fumetti e dei disegni animati dentro un universo non più fantastico e infantile ma profondamente adulto e realistico (si pensi a tutto l’universo di Gundam): i suoi personaggi dovevano fare i conti con problematiche pratiche pressoché sconosciute al genere, come l’approvvigionamento delle risorse, la manutenzione dei robot, la loro alimentazione energetica e la complessità della loro manovrabilità. Mentre Nagai immaginava eserciti di alieni o di esseri demoniaci che combattevano una guerra contro il genere umano, di cui i robot costituivano l’ultimo baluardo difensivo e l’unica speranza di vittoria, Tomino dava vita a intere galassie popolate da colonie umane in guerra tra loro, divise da scontri politici e tecnologicamente capaci di sviluppare armi – i mobile suits – in grado di potenziare le capacità offensive e difensive dei loro corpi militari, la cui gestione però comportava enormi problemi e incredibili difficoltà tecniche. Anche questa caratteristica è decisamente presente ne L’attacco dei Giganti, ove l’umanità superstite è divisa in classi che si sfruttano tra di loro, e dove la gestione delle battaglie fa sì che l’aspetto più spettacolare conviva al fianco di una cura maniacale per la strategia, la pianificazione e lo studio del nemico (del quale vengono addirittura praticate autopsie ed esami anatomici al fine di individuarne punti di forza e di debolezza). E dove l’eroismo di alcuni si contrappone alla paura dei tanti.

Tutti i personaggi della serie sono fortemente divisi per sfumature caratteriali, visioni della vita e concezione del proprio ruolo nel mondo. Anche in questo l’influenza dell’autore di Gundam è enorme. Soprattutto, Hajime Isayama solleva una forte questione morale ed esistenziale in capo a ogni personaggio, ciascuno dei quali non è mai semplice paladino del Bene o del Male (salvo rarissimi casi), bensì un essere umano in cui convivono molteplici istinti e diverse sfaccettature etiche e ideologiche. La trama a sua volta è estremamente complessa e fortemente articolata in momenti politici, epici, esistenziali, filosofici e di pura azione. Combattere, tra l’altro, non vuol dire solo attaccare i Giganti, ma significa anche essere messi di fronte alle proprie paure e alle proprie convinzioni morali, costringendo ogni personaggio, in ogni istante, a interrogarsi su quel che fa e sul perché lo fa.

C’è tanto di Tomino anche nell’estrema attenzione rivolta alle dinamiche umane e sociali: la disperazione delle masse contrapposta alle relazioni interpersonali; i rapporti di potere in antitesi con i diversi moventi individuali; la sfiducia nei governanti (spesso incapaci e vigliacchi) e l’ambiguità del concetto di ubbidienza come valore assoluto (tanto essenziale a un sistema militarizzato in stato di guerra permanente, ma anche tanto pericoloso quando gli ordini paiono ingiusti, inutili o tanto sbagliati da portare rimedi che sono quasi peggiori dei mali che mirano a scongiurare). Tutto è estremamente plausibile, pur trattandosi di una serie in cui dei ragazzini di quindici anni vengono sparati da razzi propulsori a cinquanta metri d’altezza per combattere, in sincro, contro Giganti apparsi dal nulla. Il realismo è alimentato proprio dall’inusuale mancanza di quel senso di eroismo gratuito, tipicamente giapponese, che normalmente caratterizza prodotti di questo genere. La maggior parte dei protagonisti, infatti, è mossa da moventi egoistici e personali e quasi tutti convivono con un comprensibile e costante senso di paura e di disperazione, che li porta sovente a preferire la fuga ignominiosa al sacrificio eroico. Questo atteggiamento è reso ancor più plausibile dal fatto che i personaggi muoiono di continuo. Nessuno, compreso il protagonista, è veramente indispensabile al prosieguo della storia (già dal titolo la serie è incentrata sui Giganti, non sui loro avversari umani), per cui il senso di timore che chiunque possa sparire da un momento all’altro (cosa che succede di continuo) carica la visione di una tensione assai insolita in questo genere di prodotti. Qui i personaggi muoiono uno dopo l’altro senza che nessuno possa avere il tempo di metabolizzare l’evento e questo vale tanto per noi spettatori (che non abbiamo ancora finito di riprenderci dalla dipartita di un nostro paladino, che già ne sono stati fatti fuori altri quattro) quanto per i personaggi dello show (nonostante siano tanto abituati al loro stato di guerra permanente da considerare la morte un fatto assolutamente ordinario e quasi inevitabile).

A tutto ciò, si unisce una componente mystery di estremo interesse, forse la cosa più affascinante della serie: lo spettatore e i protagonisti stanno sullo stesso piano, nessuno sa esattamente cosa stia succedendo e tutti cercano la verità che si nasconde dietro piccoli indizi conquistati a prezzo di innumerevoli sforzi e sacrifici. La costante ricerca di un piccolo pezzo del puzzle che sia capace di dare forma e senso a un quadro angosciante e disperato, di cui non si è in grado di comprendere quasi nulla, alimenta il fascino di un prodotto originale e di estrema qualità narrativa, grafica, tecnica e registica.

Qualcuno ha scritto che “i Giganti sono la metafora del mondo ingiusto, del modo crudele ed orribile che divora le speranze di chi ci vive”. Difficile trovare una definizione migliore.

Autore: Benedetto Solazzi
Pubblicato il 03/04/2017

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