Corri ragazzo corri

Racconto di formazione di un ragazzo in fuga durante la Seconda Guerra Mondiale che si appropria dello sguardo schietto e allo stesso tempo perplesso del protagonista

Primo Levi insegnava che, la storia dei sommersi è sempre ben diversa da quella dei salvati, in virtù del fatto che solo questi ultimi hanno potuto raccontare la propria storia, che è primariamente racconto di sopravvivenza, vittoria contro le avversità. Corri ragazzo corri racconta la storia vera di uno di questi, Yoram Fredman, che fuggito bambino dal ghetto di Varsavia durante la Seconda Guerra Mondiale visse da fuggiasco per villaggi e foreste, braccato o aiutato secondo il caso. Abbandonata la famiglia, l’ultimo ordine del padre, pronto a sacrificarsi per salvare il figlio, è di celare ad ogni costo la propria identità di ebreo. Il ragazzo si inventa una nuova identità e impara così a vivere all’addiaccio di nascosto, o offrendo lavoro nelle fattorie in cambio di un posto dove dormire, pronto a fuggire qualora il suo segreto venga scoperto. L’esito finale delle vicende di Yoram, ora denominatosi Yurek, dipenderà dalla sua capacità di adattarsi agli eventi e dall’animo benevolo o meno delle persone che via via incontrerà sul suo percorso.

In situazioni tanto estreme, in caso di sopravvivenza è difficile capire quanto merito dare al talento rispetto al caso: perché se Yoram/Yurek dimostra una notevole maestria nel reinventarsi una soluzione giorno dopo giorno, i volti delle persone che sfilano nel film appartengono in egual misura a delatori, partigiani, gente pronta a tradire come dar rifugio. Così se la storie dei sommersi e dei salvati dalla persecuzione nazista divergono per il finale, è solo per un miscuglio di fortuna e dote personale, in cui la fatica regna sovrana. Astraendo il racconto dal contesto, la vicenda del protagonista potrebbe essere riassunta in un susseguirsi di sforzi fisici - sopportare il freddo, rubare vestiti e da mangiare, lavorare nelle fattorie – cui solo in un secondo tempo segue l’impegno mentale di rimuovere i ricordi e i dettagli pericolosi e costruirsi un nuovo passato e nuove abitudini. Yurek imparerà a comportarsi da cristiano, declamando le preghiere e ricevendo i sacramenti, mentre i volti della sua vera infanzia diverranno figure vaghe presenti solo nei sogni: è un sacrificio necessario per non venir distrutti.

D’altra parte mettere un bambino al centro di un film del genere significa eliminare dallo schermo, e dalla storia, ogni sovrastruttura morale per puntare l’occhio sull’unica cosa che conta in uno sguardo infantile: non morire, fisicamente e spiritualmente. La contraddizione fra il sospetto acquisito verso gli altri e una spontanea vitalità si concretizzano in un personaggio che all’inizio quasi crea frustrazioni per come, rispetto a ruoli più adulti, viva il suo dramma senza domande, ma è proprio nella fanciullezza rapportata all’orrore che Corri ragazzo corri si costruisce una sua rispettabile integrità narrativa, rifiutandosi di dipingere Yorek come un eroe coraggioso o, al contrario, una vittima inerme. L’assoluta semplicità dei suoi istinti, che si rispecchia in quelli di chi lo accoglie o lo insegue, descrive un umanità in un certo senso ugualmente infantile, che non ha bisogno di parole altisonanti per definire le sue gesta più nobili o atroci, poiché le esegue senza interrogarcisi sopra. La riflessione, il dilemma, la consapevolezza, arriveranno solo crescendo: ma se è certo che Yoram/Yurek è diventato adulto, perché è qui per raccontarci la sua storia, lo stesso non possiamo garantire dell’umanità in generale.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 26/01/2015

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