Child 44

Dall'omonimo best seller mondiale, Daniel Espinosa non rinuncia all'action e trae dal giallo storico un complesso quadro politico sulle paure ereditate dal regime Stalinista.

Dalla carta al grande schermo. Quella di un periodo storico nell’immediato dopo-guerra compromesso dalla morale, sfaldato dall’interno, oltremodo ’inaccessibile’ come se esistesse ancora una cortina di ferro a dividere il mondo occidentale da quello orientale. Ma più che una lettura reale del testo, Child 44 è un’interpretazione visiva del romanzo omonimo di Tom Rob Smith, ambientato nella Russia stalinista del 1953. Libro stesso, a sua volta, ispirato ad una vicenda realmente accaduta nell’Unione Sovietica nella seconda metà del novecento, che dispiegò un cruento fatto di cronaca nera alla ribalta dei quotidiani nazionali: l’efferato assassinio di oltre 50 persone (soprattutto donne e bambini) tra il 1978 e il 1990, per mano di un serial killer soprannominato nel tempo il "Mostro di Rostov". Una trasposizione dallo sguardo prettamente occidentale, e già di per sè messa al bando dal Ministero della Cultura russo (ironia ’viziosa’, che vede l’oscurantismo rappresentato nella finzione ritornare con inquietudine nella realtà odierna). D’altro canto la terza pellicola del giovane regista svedese di origini cilene Daniel Espinosa, possiede l’onore di rispolverare alcuni aspetti politici dell’era di Stalin su cui molto panorama cinematografico aveva preferito non indugiare. Disseppellendo, o sviscerando - a seconda della gamma emotiva invocata dal copione - ’tristi’ avvenimenti alla volta di un senso storicamente utile alla comune coscienza moderna. Senza perciò intaccare il sontuoso thriller in costume del quale vorrebbe investirsi, ma portando il racconto dall’ampio respiro ad un nucleo più intimo, dal valore universale, quanto tarato su legittimi e ponderati quesiti: può uno Stato totalitario minare nel profondo lo spirito umano? Cosa fare quando si inizia a dubitare del ’paradiso’ in cui si vive?

Dallo splendore urbano di Mosca alla tetra ed inquinata città di Vosk, dove l’omicidio - "morbo esclusivamente capitalista" - non può essere compiuto, Child 44 porta a compimento la parabola di un esilio forzato, che metterà di fronte all’autorità militare sovietica due protagonisti ’rinnegati’ e dunque pronti ad accettare una nuova vita all’interno di un ordine sociale e classista più forte. Sospettati di tradimento verso il regime, un uomo e una donna vivranno in un inferno di caos, fame e torture psicologiche, prima di risolvere il mistero di una lunga serie di bambini uccisi nella gloriosa terra degli Zar oramai sepolta da ombre e fantasmi. Una cifra stilistica fondamentale e qui costituita dal continuo contrasto fra violenza ed innocenza, passando da sommessi momenti drammatici a brutali sequenze d’azione che necessitavano di attori capaci di padroneggiare con abilità la prestanza fisica richiesta. E a conferma della loro perfetta sintonia, tra disadattati, già vista in The Drop - Chi è senza colpa, Tom Hardy e Noomi Rapace ben si allineano ad un’evoluzione psicologica delicatamente tratteggiata sullo sfondo di un’ambientazione così ricca e vissuta. Perchè la favola del comunismo e dell’illusoria libertà stalinista sono mostrate da Espinosa con penna severa, lungo 137 minuti saturi di colori freddi a metà strada fra la suspance raccapricciante (nauseabonda) de Il Silenzio degli innocenti e un sonoro capace di raggelare; strizzando più volte l’occhiolino a dinamiche filmiche che riportino la pellicola sui territori del giallo anni ’30 di Fritz Lang. Ma si tratta piuttosto di piccoli excursus, alle spalle di uno scenario politico complesso e le cui tematiche di potere, onestà, amor di patria e tradimento si intrecciano al melodramma intimista, dando spesso la sensazione di un volo iperbolico dentro un romanzo di Dostoevskij.

Allora, Child 44 può essere considerato un racconto inerente ad un capitolo orribile della Storia e monito d’avvertimento per il mondo di oggi: senza calare dall’alto risposte o facili soluzioni, bensì stimolando una riflessione individuale - con tutti i luoghi comuni del caso - sulla perdita dell’identità. Un’insofferenza interiore e gabbia dalla condizione mentale che attanaglia il coro dei personaggi orchestrati, tanto da rinunciare al gusto per quel macabro siffatto caro a certa cinematografia popolare. Certo, non si può negare che il film di Espinosa faccia un po’ di confusione e tiri troppo la corda alle stesse sotto-trame periferiche, con qualche retorica perplessità sulla scelta di escludere a priori qualsiasi attore di natali sovietici dal novero dei ruoli che contano (un inglese ’corrotto’ da un claudicante accento russo). Dipingendo agli occhi dello spettatore un universo distopico nella sua disumanizzata rappresentazione, fintamente governato da regole morali e in cui la sopraffazione e la meschinità si insinuano silenziosamente nelle pieghe del quotidiano. Però a conti fatti, Child 44 rimane coerente fino alla fine sull’idea di un cinema mainstream che insegua generi diversi, mescoli i toni, senza per questo risultare deprecabile o compassato all’origine. Un blend thriller-documentaristico trascinato dalla nomea del best seller internazionale, a cui guardare con benevolenza e forse sottile misura. Come un tragico viaggio di andata e ritorno nella terra del Gulag.

Autore: Francesco Bruni
Pubblicato il 02/05/2015

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