Catacomba

Un horror antologico fedele allo spirito di un fumetto ormai trapassato

È palese che Catacomba nasca come omaggio a un fumetto o, più in generale, a una sua tipologia. Data l’assonanza, l’accostamento più immediato è con Oltretomba, la serie che univa l’orrore con un erotismo via via più tendente alla pornografia. La collana, creata nel 1971 e conclusa nel 1989, non era né la prima né l’ultima a fondere insieme i due elementi. Lungi dal volere trattare qui una storia del fumetto italiano, basterà entrare nell’ottica che la rivoluzione sessuale fu un cambiamento in grado di contaminare tutta la cultura e in particolar modo quella popolare, compresi il sopracitato fumetto ma anche il cinema. Va da sé che serie quali Terror, Vampirissimo, I sanguinari possedevano già allora i propri equivalenti sul grande schermo: Riti, magie nere e segrete orge nel Trecento..., Nuda per Satana, Le notti erotiche dei morti viventi. Paradossalmente oggi il sesso è molto più edulcorato di quarant’anni fa e storie in grado di esprimersi in totale libertà non esistono, o se lo fanno non hanno più un riscontro popolare bensì di nicchia. Da qui scaturisce la nostalgia degli autori e del pubblico per i tempi che furono e la voglia di omaggiarli esplicitamente. Così nel 2010 Domiziano Cristopharo gira Bloody sin, annunciato inizialmente come Oltretomba e dedicato agli ideatori dell’omonima serie, Dino Leonetti e Stanley Baldock. Il 2016 è invece l’anno di Lorenzo Lepori, regista toscano omonimo del fumettista sardo che per Oltretomba realizzò più di una storia, compresa la trecentesima e ultima.

Immagine rimossa.I due Lepori, avendo qualcosa in comune più del nome, erano necessariamente destinati a trovarsi. La loro congiunzione ha generato un ibrido tra un film e un fumetto. Lo si intuisce già dalla locandina realizzata da Lepori senior con il titolo composto da ossa, esattamente come il logo di Oltretomba. All’interno del film la stessa immagine funge da copertina di un omonimo fumetto letto dal protagonista della storia che fa da cornice alle altre quattro. Le vignette che spezzano il racconto filmico sono fruibili dallo spettatore anche in versione cartacea, dando vita a un legame tra i mezzi che non è più semplice riproduzione delle medesime avventure ma interazione diretta tra diverse forme narranti. Catacomba, a differenza di Oltretomba e più in linea con serie come Supermarket, non è composto da un unico episodio autoconclusivo ma si presenta sotto forma di horror antologico. Nella prima delle quattro storie complete, Evil tree, lo sceneggiatore Antonio Tentori è in cerca di tranquillità e ispirazione per un racconto dell’orrore. Sceglie quindi di prendere appunti all’ombra di un albero sotto al quale, secoli prima, fu impiccata una strega. Il suo flusso di pensieri è interrotto dall’arrivo di due motocicliste che lo fanno letteralmente a pezzi. Lo sceneggiatore subisce così lo stesso destino del film venendo suddiviso in quattro parti: capo, tronco, arti e pene. La coppia di donne, alter ego di quella dei registi, si contende la testa di Tentori e raggiunge l’acme dell’estasi amoreggiando con un inquietante sconosciuto da loro chiamato Satana ma molto più simile a un depravato clochard. A interpretare l’amante delle streghe è uno dei registi più underground degli ultimi anni, Giovanni Pianigiani. Il secondo episodio, Alien lover, mette in scena due diversi mostri. Il primo è quello che ha terrorizzato per decenni la provincia fiorentina accanendosi sulle coppiette. L’altro invece ha a che fare con i campi di grano e, come suggerisce il titolo, viene da un diverso pianeta. La protagonista (Simona Vannelli) non avrà difficoltà a comprendere chi è davvero pericoloso per la sua incolumità. Alien lover è una critica ai pregiudizi razziali di una società che nasconde troppi scheletri nell’armadio. Dato l’elemento fantascientifico le sue serie di riferimento sono Storie blu e Terror blu. Il terzo episodio, Una messa nera per Paganini, è una variante di L’uomo che collezionava Poe, quarto e ultimo capitolo de Il giardino delle torture di Freddie Francis. Lepori e Tentori restano molto fedeli all’originale e l’unica significativa differenza è l’avere sostituito il celebre scrittore con l’altrettanto importante violinista. Il film del 1967 non possedeva però alcuna sfumatura erotica, viene quindi introdotto il personaggio dell’amante ma, data la scelta di seguire pedissequamente il canovaccio precedente, Una messa nera per Paganini è l’unico dei quattro episodi a essere privo di scene di sesso o di nudo. Il ruolo che fu di Jack Palance passa a Pascal Persiano che in filmografia ha, guarda caso, Paganini horror. Mentre Edgar Allan Poe entra preponderante nel quarto episodio, La maschera della morte rossa, realizzato inizialmente per il film collettivo POERN e confluito in Catacomba dopo il rifiuto del committente. Stavolta, data l’origine del girato, non vi sono dubbi sulla quantità di eros che spazia fra le più svariate pratiche sessuali finanche la necrofilia. La storia ha ben poco in comune con l’omonimo racconto di Poe e i nomi delle protagoniste, Ligeia e Morella, rimandano ad altri suoi componimenti. Ma la vera affinità con l’opera dello scrittore statunitense risiede nell’atmosfera onirica, quasi senza tempo, del racconto. Un diavolo per capello è invece l’episodio che fa da cornice, l’unico scritto e diretto da Roberto Albanesi. A differenza degli altri ha un tono goliardico che funge da giusto contrappunto, riuscendo ad esempio a fare apparire ironico un pensiero di Tentori in Evil tree: "Mi piacerebbe metterci gli zombi ma in questa storia non c’entrano proprio per niente". Non manca poi un’ulteriore scena, situata come in una matrioska a un livello superiore, in cui Albanesi stesso legge la disavventura del ragazzo dal parrucchiere, Simone Chiesa, sul fumetto che quest’ultimo aveva appena concluso e gettato in terra. Ma l’aspetto più importante è che Un diavolo per capello ha una sua, seppur semplice, trama in grado di evolvere e assolvere al compito di collante senza risultare ripetitiva.

Immagine rimossa.Catacomba ha degli evidenti limiti tecnici (fotografia sovraesposta, vento in camera), uno stile a volte grezzo (movimenti irregolari, zoom bruschi) e qualche ingenuità (chi ha acceso le candele nello scantinato prima dell’arrivo dei protagonisti?). Eppure questi difetti erano riscontrabili già nei fumetti di Oltretomba e simili. A fronte di splendide copertine e nonostante la partecipazione di autori talentuosi, spesso le trame erano sgangherate e i disegni approssimativi. Ciò che li rendeva realmente appetibili era la viscerale anarchia che nel film di Lepori non latita. Con la sua durata breve, 62 minuti più otto di titoli di coda, Catacomba è tutto fuorché noioso; in definitiva e a buon diritto, un guilty pleasure.

Autore: Mattia De Pascali
Pubblicato il 13/11/2016

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