Sicilian Ghost Story

Sicilian Ghost Story è un testo aperto che trasfigura il materiale sociale e politico in chiave favolistica, e che fa della propria sfrontatezza un motivo di forza.

Muschi e spelonche, macerie abusive e rifugi sotterranei, streghe cattive, eroi e principesse. E due rifugi che nascondono Giuseppe, rapito e imprigionato perché figlio di un pentito di mafia.

Sicilian Ghost Story ha inizio quando la macchina da presa segue i due giovani protagonisti, Luna e Giuseppe, verso un sentiero silvestre. La cronaca criminale viene trasfigurata in fiaba e in mitologia esoterica, popolata da aiutanti e nemici ma, soprattutto, da una ragazzina che sa spingere il proprio sguardo al di là della realtà fenomenica.

«Pegaso è un cavallo alato, guarda la forma della costellazione!»

«Io ci vedo solo quattro stelle»

«Quando guarderai con attenzione, lo vedrai».

Ancora una volta, Fabio Grassadonia ed Antonio Piazza, chiamati ad aprire la Semaine de la Critique della 70esima edizione del Festival di Cannes, dopo Salvo, tornano a soffermarsi su una tematica legata alle dinamiche percettive che riguardano i loro personaggi. Come in Anna di Niccolò Ammaniti, altra fiaba siciliana, gli adulti, in quanto tali, sembrano condannati a diventare contesto senza la capacità di produrre alcuno scarto nel loro sguardo. E finiscono per essere caratterizzati da una cecità, probabilmente un po’ banale, che li schiaccia come figurine, caratteri squadrati che aderiscono ad una precisa idea senza mai scostarsi da essa. Luna, invece, non è la Story che deve essere salvata ma la principessa combattiva che «discese nel regno paterno e che lì regnò con giustizia e benevolenza per molti secoli, (…) che lasciò dietro di sé delle piccole tracce del suo passaggio sulla terra, visibili solo agli occhi di chi sa guardare».

La ricerca privata di cui si rende protagonista è una discesa in un mondo oscuro e un’esplorazione della propria identità. L’upside down dell’entroterra siculo in cui viene rinchiuso Giuseppe fa parte di un territorio in cui convivono due polarità estreme: un contesto di tenebre e di malaffare gestito da loschi reietti umani e contaminato da un’ideale di bellezza silvana. La provincia rurale e boscosa è fotografata da Luca Bigazzi, abituale collaboratore di Sorrentino, che ne esalta gli aspetti più onirici e slegati dalla realtà quotidiana. La bellezza di Sicilian Ghost Story consiste nel carattere aperto del suo testo: lo spettatore, a sua discrezione, potrà scorgere la fiaba, la narrazione sociale sul contesto mafioso, il coming-of-age della sua protagonista, persino una tenera love story tra Giuseppe e Luna. Risiede proprio nella sfrontatezza di Grassadonia e Piazza, coscienti della forza della loro idea fino a sfiorare la tracotanza, l’elemento principale che salva il film dal naufragio.

Perché, nonostante il carattere evocativo ed onirico delle immagini non riesca a trasformarsi in pari forza narrativa, raggiungendo un’intensità a tratti incontrollabile per i due registi, che si limitano a sfiorare soltanto in superficie una magia che non riesce mai a coinvolgere veramente lo spettatore, Sicilian Ghost Story propone un’elaborazione del rimosso differente rispetto all’ottica tradizionale e socialmente accettata. Ed il cinema politico indossa un soprabito favolistico che, in relazione al proprio statuto di testo aperto da leggere seguendo percorsi differenti, non può che renderlo più consapevole e forte.

Autore: Matteo Marescalco
Pubblicato il 21/05/2017

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