Ish

di Imran Perretta

Un prezioso coming-of-age la cui connotazione culturale riesce a riflettere le esperienze quotidiane dei giovani immigrati anglo-pakistani di terza generazione, e il senso di disorientamento (identitario ed esistenziale) che rischia di soffocarli.

Ish recensione film sic

Di Gaza non vediamo nessuna immagine, eppure i “rombi” del conflitto israelo-palestinese riecheggiano costantemente nella cornice sonora di Ish. Che il racconto della guerra venga ascoltato attraverso una piccola radiolina, o che risuoni nelle mura casalinghe del protagonista tramite l'impianto audio della tv, le tragiche notizie che ci giungono dal Medio-Oriente sembrano quasi dominare la dimensione acustica del film, tanto da innervarsi di una funzione propriamente drammaturgica, se non semantica, tale da creare un fil rouge con il percorso del giovane Ish. Ma cosa mette davvero in comunicazione lo spettro di Gaza con la storia di formazione di un dodicenne anglo-pakistano, immigrato di terza generazione? E perché il regista esordiente Imran Perretta persegue così ossessivamente questa connessione? La risposta, sembra suggerirci, la troviamo proprio nella valenza esistenziale e culturale che tale conflitto sta assumendo agli occhi dei cittadini di matrice islamica. Una tragedia umanitaria che il film restituisce attraverso le griglie del racconto coming-of-age, a partire dal senso di disorientamento che qualsiasi giovane ragazzo prova in un periodo così delicato della propria vita.

Presentato in Concorso alla 40ª edizione della Settimana Internazionale della Critica di Venezia, il debutto alla regia di Perretta si serve della confusione e della rabbia (identitarie e politiche) che il conflitto a Gaza sta generando, collettivamente e in particolare nei cuori e nelle menti delle popolazioni musulmane, per offrire uno sfondo “fisico” e materico allo sfasamento che il giovane protagonista sta provando, nella sua intimità, a causa dell'inaspettata acrimonia che si è venuta a creare con il suo migliore amico. Ish e Maram sono sempre stati inseparabili, e sin dalla primissima inquadratura del film li vediamo in completa simbiosi, quasi l'uno riflettesse l'universo interiore dell'altro. I due ragazzi assurgono entrambi a emblema delle esperienze degli immigrati di terza generazione, per cui attorno alle loro azioni di vita quotidiana il film rivela un mondo relativamente “alternativo”, popolato esclusivamente da ragazzi anglo-pakistani e dai linguaggi slang che tali comunità sono arrivate organicamente a codificare nel corso dei processi di ambientamento/adeguamento alle coordinate “umane” (e a volte, disumane?) che albergano nelle periferie urbane della Londra odierna. Eppure l'invasività delle politiche nazionali, specialmente di matrice antiterroristica, crea all'improvviso una frattura. Un divario che Perretta amplifica grazie ai codici di genere su cui si fonda ogni buon coming-of-age.

Considerate la natura “indiretta” che le inferenze relative a Gaza hanno nel percorso di sfasamento del giovane protagonista, non sorprende che il regista faccia anche passare l'elemento catalizzatore del film – da intendere come il vero snodo narrativo del racconto e del cammino divergente di Ish e Maram – nei ranghi del fuori campo. L'evento scatenante dietro la confusione esistenziale che attanaglia il giovane ragazzo, di fatto, non lo vediamo. Perché del rapido sequestro che l'unità antiterroristica inglese mette in atto nei confronti del suo amico ci è dato osservare unicamente le conseguenze, dal momento che Ish, fuggito via dopo aver udito le sirene degli agenti, viene inquadrato in totale solitudine, quasi fosse destinato a combattere da solo le sue inquietudini più recondite, per di più enfatizzate da una dolorosa perdita familiare. Ed è in queste poche immagini che il racconto sublima ogni suo discorso: sia estetico – si veda la contaminazione dei toni realistici con i regimi scopici della biopolitica – che puramente drammaturgico.

Da questo momento in poi, infatti, la narrazione, da che era tarata esclusivamente sui registri tipici del realismo sociale inglese, si apre all'incursione di alcuni estetismi, soluzioni che potrebbero sì risultare incongrue con il realismo inizialmente adottato da Perretta, ma che in realtà rendono concreto il cambio di paradigma a cui il lungometraggio (e la vita dello stesso Ish) stanno andando improvvisamente incontro. Agli occhi del cineasta, infatti, il “rapimento” e il conseguente rilascio di Maram ha aperto un vero e proprio Vaso di Pandora nell'animo del protagonista, tanto da richiedere al racconto una mutazione stilistica, una metamorfosi formale che rifletta, in termini linguistici, l'approdo improvviso di Ish alla pre-adolescenza, fondata su un senso di confusione che qui, straordinariamente, arriva a “sporcare” lo sguardo stesso del film, e le sue coordinate off-screen (a partire, come già detto, da quelle di stampo sonoro). A dimostrazione non solo della notevole lucidità messa in campo dal filmmaker londinese, ma anche della precisione quasi chirurgica con cui ha reso il cuore tematico della sua storia. Tanto che Ish, a conti fatti, si configura quale l'ultimo esempio, in ordine di tempo, delle ammirevoli attività produttive del British Film Institute e della BBC Films, capaci, più di tanti altri omologhi europei, di dare voce a chi, in questo preciso periodo storico, necessita di verbalizzare pubblicamente le esperienze esistenziali della comunità/popolazione di cui è testimone.

Autore: Daniele D'Orsi
Pubblicato il 31/08/2025
UK 2025
Durata: 89 minuti

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