Waking Hours

di Federico Cammarata Filippo Foscarini

L'opera prima dei due giovani registi è un vero e proprio appello al cinema inteso quale attraversamento empatico, dove il visibile è solo l’inizio del racconto e dove si può essere presenti anche senza prove tangibili. Vincitore del Premio al miglior contributo tecnico per la SIC 2025.

Waking Hours - recensione film fdf

Alcune luci fioche emergono in lontananza, tra le nebbie di una tormenta, dove si scorgono alcune presenze raccolte intorno a un fuoco, forse impegnate in un rituale. Lo spettatore però è subito scosso e riportato alla realtà dal suono di colpi d’arma da fuoco, mentre la macchina da presa indugia su un muro di metallo affilato, simbolo tangibile del confine verso l'Europa. I primi minuti di Waking Hours di Federico Cammarata e Filippo Foscarini sono già una dichiarazione d’intenti, poiché in poche sequenze si delinea un dettagliato immaginario poetico e politico, capace di portare in primo piano la condizione migratoria balcanica attraverso un punto di vista inedito. Il film infatti punta soprattutto a creare un’esperienza sensoriale tramite la quale rendere lo spettatore partecipe di una dimensione al tempo stesso intima e sociale, ovvero quella della veglia.

Cammarata e Foscarini, influenzati in maniera evidente dal lavoro di registi come Roberto Minervini, qui presente come produttore, creano un clima di sospensione a tratti “beckettiana”, che prepara lo spettatore a una guerra “muta”. Tanti sono i riferimenti allo scontro, del tutto attuale, che si presenta all’interno dell’Europa, tra i Paesi firmatari dell’Accordo di Schengen e il pensiero dei Paesi più protezionisti, in un clima che si presenta del tutto ostile. Un “conflitto” completamente atipico, dove le vittime si possono percepire a malapena. I due autori dimostrano una forte padronanza dello spazio diegetico e della dialettica ombra/luce per suscitare inquietudine nei confronti dell’argomento, dimostrando come filmare l’invisibile – la scelta di non mostrare mai direttamente il confine, ma di evocarlo come presenza assente lasciandolo sempre fuori campo, dimostra grande conoscenza del mezzo – possa farsi atto politico radicale, volto a portare alla luce uno dei problemi più socialmente pregnanti della questione europea contemporanea.
Proprio per questo, Waking Hours sceglie deliberatamente di rifiutare la logica spettacolare dei media e delle narrazioni umanitarie del cinema mainstream, abbracciando piuttosto una sensibilità sperimentale unica nel suo genere, in grado di restituire come percezione straniante ciò che viene documentato dalla macchina da presa. Questo approccio si configura come una forte presa di coscienza e un monito per lo spettatore, chiamato direttamente in causa, a cui viene chiesto di assumersi la responsabilità del guardare e dell’ascoltare, di restare sveglio di fronte a ciò che solitamente resta al di fuori del campo visivo. Una tensione che permette anche di ridefinire, in modo del tutto inusuale e assolutamente incisivo, il modo stesso in cui Cammarota e Foscarini concepiscono il confine, attribuendogli funzionalità filmiche innovative.

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Il confine non è più, dunque, una semplice delimitazione delle linee geografiche o una barriera fisica che designa un territorio, ma diventa una condizione esistenziale che deforma lo spazio e il tempo. Il limite tra visibile e invisibile può essere attraversabile solo grazie all’improvviso ricorso alla thermal cam, in una delle scene cruciali del film. Questo permette ai due cineasti di non sfruttare più il mezzo tecnico con la semplice funzione di identificazione o sorveglianza, ma di usarlo per trasformare lo strato epidermico in immagine poetica, emblema atipico di resistenza. In questo modo il dispositivo dell’immagine viene così convertito in linguaggio estetico e in contro-sguardo politico, diventando gesto di persistente sopravvivenza che coinvolge direttamente il corpo dei protagonisti afghani. Questo spostamento poetico cancella i segni distintivi e restituisce l’essere umano come pura presenza elementare, ridotta alla sua vitalità biologica. È una sottrazione che toglie volto e voce, ma che universalizza la questione migratoria, estendendola all’umanità intera, facendosi direttamente carico di una condizione esistenziale che, in una prospettiva a dir poco “celiniana”, deforma lo spazio e il tempo, portando a scoprire la violenza della frontiera come unico segnale vitale, unico strumento attraverso cui produrre vite marginali e invisibili.

Il docu-film assume così una forma radicale sensoriale, ponendo la frontiera e le barriere come condizioni esistenziali. Più che un semplice lungometraggio, Waking Hours è un vero e proprio appello al cinema inteso quale attraversamento empatico, dove il visibile è solo l’inizio del racconto e nel quale si può essere presenti anche senza prove tangibili.

Autore: Antonio Orrico
Pubblicato il 17/09/2025
Italia 2025
Durata: 78 minuti

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