Walesa – L’uomo della speranza

Tra i registi che più di tutti hanno declinato la storia con il mezzo cinematografico, autore di grandi opere come I dannati di Varsavia (1957), Samson (1961),Dottor Korczak (1990) e il più recente Katy? (2007), Andrzej Wajda si è occupato soprattutto di seconda guerra mondiale, e dello smembramento della sua Polonia durante l’occupazione nazista. Pur rimanendo sulla scia dei suoi lavori ad argomento storico, stavolta il regista polacco decide di cimentarsi con un tema più contemporaneo, che lui stesso ha definito “il soggetto più difficile che ho affrontato in 55 anni di carriera”. Wa??sa – Man of Hope, come anticipato dal titolo, ripercorre le vicende personali che portarono un semplice operaio di nome Lech Wa??sa a diventare il primo presidente eletto nella storia della Polonia.

In modo molto classico, il film inizia e finisce con immagini d’archivio e didascalie, tese a contestualizzare il personaggio e a permettere al regista di schierarsi da subito nella dialettica tra cinema, storia e documenti audiovisivi. Nel corso della pellicola vengono infatti presentate spesso altre immagini, girate da Wajda in bianco e nero sulla base di filmati originali d’archivio, con l’aggiunta di una grana storicizzante. In queste ultime ogni tanto si vedono cineoperatori che riprendono i fatti, soprattutto durante manifestazioni di piazza. Essendo già a disposizione un’enorme quantità di materiale, Wajda ci suggerisce nell’immediato di non essere interessato al ruolo pubblico di Wa??sa, ma a una dimensione privata di cui non esistono immagini, se non foto di famiglia e ricordi personali, da cui il film vuole attingere direttamente. La presenza di alcune immagini originali, mostrate durante l’occupazione dei cantieri navali di Danzica, ma girate dallo stesso Wajda a suo tempo, si pone esattamente in questo senso.

La narrazione delle vicende personali di Wa??sa è incrociata con un espediente narrativo, ovvero la storica intervista concessa da lui stesso a Oriana Fallaci nel 1981. L’interpretazione di Maria Rosaria Omaggio della giornalista italiana è a tratti impressionante: stesso modo di gesticolare, stessa voce, stesso sguardo, stessa arroganza di sempre, che rende antipatica la giornalista anche attraverso l’attrice che la impersona. Siamo quindi di fronte a due personaggi di finzione costruiti sull’immaginario storico. “Se la censura sovietica me lo permetterà vorrei leggere il suo libro” la congeda alla fine dell’intervista Wa??sa, “magari per la prima volta andando oltre la quinta pagina”. Lech Wa??sa, infatti, è un operaio semplice, che non legge libri perché lo annoiano. Ha un carattere molto difficile, che lo costringe a cambiare lavoro diverse volte perché spesso licenziato. Saldo uomo di principi e cattolico praticante, segue lo svilupparsi del movimento operaio all’interno dei sindacati e dei movimenti. “Bisogna essere molto arrabbiati per poter controllare la rabbia del popolo”, spiega Wa??sa, palesando l’unica caratteristica che lo rende diverso dai suoi connazionali: aver saputo leggere il presente alla luce della storia, proiettando le ambizioni di un popolo verso un futuro diverso. Per tutti i polacchi Wa??sa è la figura del cambiamento per eccellenza, unica discontinuità immaginaria col passato sovietico. La sua storia, quindi, viene da subito presentata come quella di un intero popolo. Lo stesso popolo che, come lui, si ferma con la famiglia di fronte alla televisione per la visita di papa Wojty?a o per lo sceneggiato americano Il ricco e il povero (1976).

Riconosciuto come leader indiscusso di un movimento alla ricerca di un’identità attorno alla quale compattarsi, Wa??sa dà vita a una catena di scioperi di portata storica, a partire proprio dal cantiere navale da cui fu licenziato qualche tempo prima. La forza di Wa??sa è quella di saper sfruttare un momento propizio, superando le iniziali rivendicazioni circoscritte a un microcosmo, e adottando così uno sguardo teso al futuro. L’unico modo per superare le richieste limitate alle impellenti necessità del momento è, infatti, quello di costruire un lungo percorso di solidarietà, prima di classe e poi globale, basato sulla speranza: Solidarno??, appunto, il sindacato autonomo dei lavoratori che permetterà ai polacchi e alle polacche di prendere coscienza di sé e liberarsi dal giogo dell’imperialismo. “Se saremo tutti umani andrà bene”, ripete ai suoi un Wa??sa splendidamente interpretato da Robert Wiecki?wicz, visto da poco sui nostri schermi con In Darkness (2012) di Agnieszka Holland.

L’elemento veramente centrale del racconto è però il rapporto dell’uomo Wa??sa con la sua famiglia, in particolare con la moglie, la sua vera forza nascosta. Danuta (Agnieszka Grochowska), oltre ad avergli dato sei figli, è anche una donna comprensiva che lo asseconda con fermezza nelle sue battaglie ideali. “Quando tu avrai paura io avrò paura”, le dice Lech durante l’ennesimo arresto. “Io non ho mai paura” risponde Danuta, piangendo, prima di congedarlo e chissà se e quando rivederlo. Molto accurato nella ricostruzione familiare, il film sembra però scarsamente complesso dal punto di vista storiografico, nonostante il personaggio richiedesse un’attenzione scientifica. Tuttavia Wajda non approfondisce mai perché non ha intenzione di fare del suo film un’epopea ma uno spaccato della vita di un uomo semplice, finalizzata sopratutto alla divulgazione popolare. Wa??sa, infatti, è un film molto classico che però strizza l’occhio a un pubblico più giovane. Nonostante l’estetica tendenzialmente televisiva, il grande maestro polacco non disdegna, alle volte, la ricerca di una forma cinematografica innovativa. Soprattutto nelle scene collettive dei cortei viene largamente utilizzata la macchina a mano, che si muove in strada in modo convulso. Anche la scelta del commento musicale, composto per lo più da canzoni punk, new-wave e reggae della protesta, rigorosamente con testi in polacco come “La mia piazza è nel cuore della città”, si muove in questo senso.

Wajda, però, non si sbilancia mai sul ruolo del cattolicesimo, né cerca di santificare il personaggio, rappresentato volutamente come un uomo comune. Il Vaticano e la Chiesa polacca rimangono, quindi, sempre sullo sfondo. Se pensiamo alla possibile sacralizzazione retorica che un’attenzione diversa avrebbe potuto contribuire a creare, tiriamo ovviamente un sospiro di sollievo. Al contrario, è un peccato non vedere affrontati gli aspetti più controversi della vicenda, soprattutto relativi ai rapporti politici ed economici tra Solidarno?? e il Vaticano, tra Wa??sa e Wojty?a. Nonostante tutto, attraverso la celebrazione di questo eroe nazionale e anti-intellettuale, Wajda ricostruisce intimamente il clima tumultuoso della Polonia degli anni settanta e ottanta in modo molto convincente. Ma non appena la figura di Wa??sa comincia ad assumere un ruolo pubblico, il film perde quota, spegnendosi poco dopo. Quasi che il cinema non possa andare oltre la soglia dell’immaginario storico, intrappolato in un linguaggio celebrativo e limitante che fa di Wa??sa un film godibile ma storiograficamente ancora troppo ambiguo.

Autore: Damiano Garofalo
Pubblicato il 19/08/2014

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