Vinyl 1x02 - Yesterday Once More

Dal blues al punk, un'opera tesa tra passato e futuro che guarda tanto al gangster movie quanto a Mad Men

Yesterday Once More, il secondo episodio della prima stagione di Vinyl - già rinnovata per una seconda, nonostante i bassissimi ascolti del pilota – è quasi un nuovo inizio, atteso al varco da pubblico e critica dopo la cinematic explosion del pilota diretto da Martin Scorsese. Un pilot che era a tutti gli effetti un film d’apertura, con il quale il prosieguo della serie dovrà dimostrare un legame stretto e solido, oltre che una coerenza narrativa ed estetica con l’imprinting lasciato dall’autore di Taxi Driver. Una ripartenza che ha innanzitutto l’obbligo di ristabilire l’organicità di un formato che d’ora in avanti sarà più contratto, ma che dovrà anche dichiarare i suoi punti fermi, gli assi cardinali su cui ruoterà la stagione – e la serie – meglio se in continuità con l’atipico episodio precedente.

Non è facile infatti rimettersi in gioco partendo da un’eredità così ingombrante, ma questo installment si dimostra in grado di rispondere a molti dei punti interrogativi in sospeso, rimandando i restanti a un momento in cui la stagione avrà raggiunto uno stadio più compiuto che consenta di trarre delle conclusioni significative.

Yesterday Once More è impostato su una forte continuità con l’episodio d’apertura, giustamente scegliendo un percorso non indipendente (il che sarebbe quantomeno azzardato, trattandosi soltanto del secondo segmento narrativo) inserito nel solco tracciato da Scorsese e sfruttando appieno il valore della legacy. Una continuità garantita prima di tutto dalla figura di Terrence Winter, che questa volta firma in maniera totalmente indipendente la sceneggiatura dell’episodio, ma anche da altre figure che in modo più o meno diretto sono legate a lui. Due soprattutto, a formare una sorta di triangolo creativo con lo showrunner: il regista Allen Coulter (già firma di alcuni episodi dei Soprano e del pilota di Sons of Anarchy) e il protagonista Bobby Cannavale, che sono stati tra i pilastri di Boardwalk Empire, serie creata e sviluppata da Terrence Winter. A ciò si aggiunge un ulteriore elemento di coerenza, rappresentato da Mick Jagger e Martin Scorsese nel ruolo di executive di maggior spicco della serie. Del primo è palese il contributo sul piano musicale, che anche in questo episodio è ricchissimo e stratificato; il secondo invece, oltre a definire l’impatto estetico e narrativo di Vinyl, è confermato in futuro nuovamente anche come regista.

Probabilmente per la durata dimezzata rispetto all’episodio d’apertura, Yesterday Once More si concentra soprattutto sul protagonista e sulla sua centralità all’interno del racconto, utilizzato come fil rouge che traccia le linea narrative che lo legano a tutti gli altri personaggi e ne inizia a descrivere il profilo caratteriale e l’arco drammatico. Un personaggio che è sostanzialmente l’antieroe americano, una figura che la serialità quality ha descritto ampiamente negli ultimi quindici anni in un percorso che va da Tony Soprano a Walter White, passando per Don Draper e Nucky Thompson. La particolarità di Finestra è definita principalmente dal tipo di conflitti (e soprattutto dalle loro conseguenze comportamentali) che esperisce: benché estremamente simili in questa fase a quelli degli antieroi che lo hanno preceduto, questi conflitti scaturiscono da un tensione molto forte tra passato e futuro, narrativizzata dalla presenza di numerosi flashback. Uno stritolamento inesorabile, che lo rende in questo episodio ancora più schizofrenico e instabile, paralizzato in un presente dal cui si sente soffocato e soggiogato.

Il rapporto dialettico tra queste due temporalità così dicotomiche viene sviscerato dalla serie non solo con i flashback, ma anche attraverso un interessantissimo parallelo con la musica. Il passato si riflette così nella musica delle radici, il blues, identificato con il mondo afroamericano, in quanto espressione artistica di una nicchia sociale e traduzione in note di sofferenze collettive e individuali. Nel futuro invece c’è il punk, la sua forza dirompente e anarchica che dalla metà degli anni Settanta ha scosso il mondo sia dal punto di vista musicale che culturale. In mezzo c’è il rock, entità multiforme che sporge nel passato come nel futuro e che in quegli anni stazionava in un crocevia dove si incontravano psichedelia, progressive, glam e sferragliate elettriche di varia provenienza e ispirazione.

L’altro grande parallelo che definisce Vinyl è il legame con il gangster movie, impostato dal pilot e confermato dal secondo episodio: un genere che, scendendo a patti e mischiandosi alla rappresentazione del contesto musical/culturale, crea l’ossatura principale della serie. Richie Finestra, protagonista bigger than life, sorregge lo scheletro così creato e lo riassume attraverso i suoi conflitti interiori ed esterni. Non a caso, uno dei temi della serie è The World Is Yours – cantata dal bluesman Lester – canzone che apre un discorso basato su una musica che oggi appare ancora più perfetta perché ricoperta dal velo della nostalgia, inarrivabile in quanto a carica emotiva e portatrice di un messaggio difficile da eguagliare per potenza e sentimento. Ma The World Is Yours è anche un palese riferimento a Scarface di Howard Hawks, il gangster movie per eccellenza dominato da un altro eccezionale antieroe, Tony Camonte, con il quale Richie Finestra ha più di un punto in comune. È proprio in questa sintesi tra panorama musicale e contesto gangsteristico che si spalancano gli orizzonti narrativi più interessanti della serie, in un’unione tra due poli enfatizzata dal tema del ritorno alle origini e dalla nostalgia per una golden age musicale e cinematografica ritratta come irraggiungibile (che si parli di Hawks o di Muddy Waters).

Tutto questo discorso però non avrebbe senso senza la forza presente all’altra estremità della fune, quella polarità non meno significativa che spinge il protagonista e la serie e guarda, in maniera più o meno equilibrata, nella direzione opposta di quell’avvenire così chiaro per noi spettatori ma così imprevedibile per i personaggi. Sotto questo aspetto Vinyl ricorda sicuramente Mad Men, nell’ansia verso il futuro che permea la serie e che segna lo sviluppo di tutti i personaggi principali. Richie Finestra come Don Draper è ossessionato dall’innovazione, dalla scoperta del nuovo, da quell’attitudine tutta americana a scrivere la Storia, ad essere il vincente che guida la locomotiva del progresso, in questo caso rappresentato dall’industria musicale. Quel “What’s next” che il protagonista ripete ossessivamente è un pensiero fisso, tanto nei momenti di massima lucidità quanto in quelli di totale alterazione in cui si rivela tutta la furia anarchica e dissacrante di un’istanza narrante che porta i personaggi alla follia totale dei primi minuti dell’episodio, ispirata dalle droghe e da Bruce Lee. Il personaggio che davvero incarna questo futuro è però rappresentato da Jamie (interpretata dalla straordinaria Juno Temple, figlia di Julian Temple), donna di un tempo futuro che propone un modo di pensare innovativo, figlio di una visione più moderna e anche di un nuovo modo di essere donna nel contesto a cui appartiene, soprattutto sul piano lavorativo; è con il ruolo di Jamie Vine, una Peggy Olson aggiornata ai seventies, che si rafforza ulteriormente la relazione di Vinyl con la serie creata da Matthew Weiner. Il rapporto tra vita e musica, tra Jamie come talent scout e il punk - la the next big thing dell’industria discografica - è sottolineato da una nascente storia d’amore col frontman dei Nasty Bits, interpretato con grande vigore da James Jagger, figlio di Mick.

La tensione al contempo devastante e vitale tra passato e futuro che permea la serie è sintetizzata alla perfezione dall’immagine della chitarra di Bo Diddley schiantata nel televisore, simbolo di un gesto di ribellione e rigenerazione. Il risultato di questa furia distruttiva e creatrice è una sorta di ready-made in cui né il televisore né la chitarra sono più utilizzabili in alcun modo, ma sono fusi in un sorta di opera d’arte contemporanea e carica di significato. Distruggendo la chitarra Richie ha infatti distrutto anche l’eredità pesantissima di un passato glorioso ma ormai diventato una zavorra.

Il tutto si riempie di senso (narrativo, ma soprattutto artistico) quando acquista per la prima volta un pubblico: il televisore distrutto dalla chitarra diventa infatti oggetto dello sguardo e centro d’attenzione di Devon, moglie di Richie, la quale non si accontenta di ammirarla ma sente la necessità di fissarne l’immagine scattando delle fotografie.

Il rapporto tra personaggi e musica sposta in questo episodio i riflettori proprio su Devon, raccontata finalmente con attenzione dopo un pilot in cui non aveva trovato tanto spazio. Anche in questo caso è la musica a fare da dispositivo narrativo, grazie alla canzone che dà il titolo all’episodio - Yesterday Once More, successo dei Carpenters qui cantato da Aimee Mann – e accompagna una malinconica, bellissima sequenza in cui Devon Finestra ricorda con nostalgia un passato di libertà e magia a cui non può più fare ritorno. Il suo è solo l’ultimo in ordine di tempo di quei personaggi femminili del cinema USA che vivono sulla propria pelle il problema di genere, passando da oggetto del desiderio maschile a casalinghe e madri, ghettizzate in casa e quasi recluse al di fuori del contesto metropolitano: come Karen Hill (l’indimenticabile Lorraine Bracco) di Good Fellas, ma anche come la Betty Draper delle prime annate di Mad Men.

Yesterday Once More è un episodio sicuramente meno dirompente del precedente e forse anche più imperfetto, in parte piegato alla necessità di aderire maggiormente al racconto televisivo e quindi a dover negoziare obbligatoriamente una serie di istanze narrative che lo rendono non particolarmente organico a un giudizio finale. Al di là delle imperfezioni si rivelano però anche tanti meriti, primo tra tutti quello di raccordare in maniera molto colta il presente della serie con il contesto musicale del passato: come nella ricostruzione di una delle Warhol’s Exploding Plastic Inevitable Performances (ambientazione del flashback sul passato di Devon e del suo primo incontro con Richie) in cui fanno capolino anche i Rolling Stones attraverso la figura di Brian Jones (inconfutabilmente lui, nonostante il personaggio si chiami Ernst). La musica continua qui ad essere un effettivo strumento narrativo che dà vita a un vero e proprio valzer di capolavori in cui susseguono Under My Thumb dei Rolling Stones (allusione neanche troppo velata al tema della sottomissione femminile), The Jean Genie di David Bowie (che anticipa l’avvento di una nuova energia nel rock degli anni Settanta), Bad Moon Rising dei Creedence Clearwater Revival (a sottolineare gli oscuri presagi che attanagliano la vita di Richie), Ride Captain Ride dei Blues Image (accompagnamento alle intime tragedie di Zack) e infine Everything I Do Gohn Be Funky di Don Covay, che traghetta spettatori e protagonista nell’episodio successivo sull’onda di un altro sound e un altro clima musicale e culturale.

Autore: Attilio Palmieri
Pubblicato il 25/02/2016

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