Vergine giurata

Il film di Laura Bispuri affida con successo ad Alba Rohrwacher il compito di interpretare un'identità negata

Il Kanun è un codice legislativo albanese, elaborato nel Medioevo e tramandato da allora di generazione in generazione fino a oggi. Benché la sua prima forma scritta risalga al XV secolo, le regole che disciplinavano la vita collettiva in ogni suo ambito sono state trasmesse principalmente in via orale, offrendo la rigida visione di una società patriarcale fondata sull’onore e la vendetta. Secondo questa lettura le donne sono mere serve subordinate al padre e al marito, e la loro esistenza è giustificata solo dalla garanzia di una completa obbedienza. Ancora adesso in alcune zone dell’Albania permane il rispetto di questo codice e ciò significa, per le donne che oggi devono sottomettercisi, rinunciare ad ogni possibile autonomia. C’è però un’eccezione: una donna può rinunciare alla propria femminilità prestando un giuramento di assoluta castità, diventando agli occhi di tutti un maschio. Da allora potrà lavorare, bere e discutere con gli uomini, disporre dei propri beni e non dovrà più abbassare gli occhi di fronte a nessuno. Sarà una Vergine Giurata, ibrido generato da una cultura che prevede ruoli sociali monolitici.

Raccontare gli esiti di questo giuramento non significa, come potrebbe a prima vista, definire una visione precisa della femminilità. Hana (Alba Rohrwacher), la protagonista di Vergine giurata cresce in una parte estremamente rurale dell’Albania dei giorni nostri, accolta dopo la morte dei genitori dalla famiglia di Gjeorgi e qui accudita come una figlia. La bambina possiede un carattere indomito e ribelle, che riempie il padre adottivo allo stesso tempo di orgoglio e biasimo:ma quando da grande vedrà la sorella acquisita Lila costretta alla fuga per evitare un matrimonio combinato, incapace di mancare di rispetto al proprio padre preferisce trovare la libertà diventando una Vergine Giurata. D’ora in poi si chiamerà Mark, porterà i capelli corti e vestiti maschili e potrà vivere come vuole. A patto di non rivendicare mai la propria femminilità.

Vergine Giurata è la storia di un percorso alla ricerca della propria identità, che inizia quando, dopo la morte di Gjeorgi, Hana/Mark si trasferisce in Italia da Lila, che non vede da anni, e tenta di costruirsi una nuova vita. Se a casa aveva dovuto rinunciare a una parte di sé per lasciare spazio a un’altra, ora può riunirle entrambe, ma questo rivela un corpo costretto, che fa fatica a rivelarsi al mondo. Nella piscina dove accompagna la nipote adolescente appassionata di nuoto sincronizzato, Hana osserva corpi liberi di amministrare la propria energia secondo movimenti precisi, eleganti, in una potente consapevolezza di sé. Attraverso la graduale riappropriazione di una carne finora taciuta, cui fanno eco i rapidi ritratti delle esistenze diversamente autonome di Lila e sua figlia, la donna potrà scegliere chi essere senza dover più chiederne il permesso.

Il film di Laura Bispuri fa la mossa intelligente di non lasciare intendere che il concetto di femminilità sottenda gli stereotipi che una determinata cultura vi ha costruito sopra: la liberazione di Hana non corrisponde alla sua aderenza ai canoni femminili predominanti (in fondo, il reggiseno che si è concessa di indossare comprime esattamente come la fascia che le serviva a nascondere i seni), quanto a un risveglio fisico, un bisogno di toccare l’altro e farsi toccare. L’atmosfera cruda e silenziosa delle montagne albanesi, immerse in un un gelido bianco-azzurro, e gli spazi chiusi, con le luci artefatte, delle metropoli italiane accompagnano la protagonista in un affermazione di sé che è cedere al corpo che ride, che si muove, che gode; ancora una volta la fisicità di Alba Rohrwacher illumina intensamente lo schermo offrendo una liberazione di muscoli e epidermidi accarezzate dall’acqua, grazie alla quale l’identità si afferma come intimo abbandono carnale.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 19/03/2015

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