Unfacebook

Unfacebook. L’idea e lo spunto per il film? Lo trovate scritto poco sopra. Siamo in una periferia degradata di una cittadina italica ai giorni nostri – Manfredonia si dice, ma potrebbe trattarsi di qualunque città. Stanchi e svogliati socialnetworkari adolescenti si trascinano tra la scuola, il muretto (virtuale) e le droghe leggere. Fra le vie di questo non luogo si aggira misterioso il parroco del posto, Don Carlo, con un libro sempre tra le mani da cui trae massime che recita in soggettiva mentre cammina. Irretito dalle confessioni scabrose dei suoi parrocchiani, che gli confessano tradimenti, pulsioni pedofile e truffe contro società, decide di farsi giustizia da solo (proprio perché il Principale latita) innescando una crociata del tutto personale contro il Male in terra. Arruola così un piccolo esercito di Crociati, atti a riportare in carreggiata il mondo sbandato da troppa cattiveria, per mezzo dell’eliminazione fisica di chi, secondo lui, non merita di calcare la scena. A cercare di capire i numerosi omicidi che si susseguono, arriva un commissario che sembra uscito dai tronisti di Uomini e Donne di defilippiana memoria. Si arriverà ad un finale aperto, dove ognuno può cercarsi il suo personale significato.

Chi scrive non ha nessuna remora a confessare il fatto di non avere un profilo Facebook, e di non sapere neanche come funzioni, limitandosi a menzionarlo come un fenomeno del 21° secolo che ha cambiato irreversibilmente il modo di comunicare tra i cittadini di ogni latitudine. E non può non riconoscere che il caffè al bar è stato sostituito da tempo dai telefonini, perennemente incollati all’orecchio della maggior parte delle persone che vediamo per strada. Tutto questo, inevitabilmente, rischia di far perdere il contatto con il tessuto sociale che ci sta attorno, al contrario di quanto si possa pensare. Deve essere partito da qui il giovane regista pugliese Stefano Simone, di soli 25 anni, che qui è al suo secondo lungometraggio di finzione (dopo Una vita nel mistero), per una riflessione non del tutto riuscita e perennemente in bilico tra la farsa e il film di genere horror/thriller. Magari l’intento era anche nobile (muovere una critica alla società dello spettacolo virtualizzata), ma il tutto risulta esacerbato da un’eccessiva voglia di sperimentazione che danno all’opera un che di artificioso e irreale – non ultima la scelta di dare al film i colori del bianco e dell’azzurro, mutuandoli da Facebook, appunto. Per non parlare della recitazione, così scolastica e didascalica da non lasciare niente all’immaginazione e troncando la naturale riflessione che potrebbe scaturire nello spettatore.

C’è da registrare comunque il coraggio, la voglia di mettersi in gioco e la voglia di sperimentare da parte di un giovane di appena venticinque anni, su di un terreno di non facile accesso a chi non fa parte di quella conventicola composta dai soliti registi, dai soliti sceneggiatori e dai soliti produttori, che partendo dai loro salottini, ci propongono tutta la loro noia e la mancanza di originalità.

Autore: Fabio Ernetti
Pubblicato il 15/03/2015

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