Una serie di sfortunati eventi

Accolto in casa Netflix, Barry Sonnenfeld torna a produrre un adattamento della saga di Lemony Snicket con una prima stagione che centra il bersaglio.

L’evento Netflix di inizio 2017 è stato, senza ombra di dubbio, il lancio, il 13 gennaio scorso (un venerdì 13!), di Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi che adatta i primi quattro libri sui tredici (ancora tredici, e, come se non bastasse, ciascun libro consta di tredici capitoli) di cui è composto il ciclo creato da Daniel Handler. Il progetto prevede un totale di 26 episodi, due per ciascuno romanzo della saga.

Ma chi è Lemony Snicket?

Lemony Snicket nasce quasi come profilo fake, troll dell’era presocial, allorquando Daniel Handler, alle prese col suo primo romanzo, The Basic Eight, scrive lettere ad organizzazioni universitarie allo scopo di ottenere materiale per il libro, e lo fa utilizzando lo pseudonimo di Snicket. Successivamente, come Lemony Snicket, scrive lettere di protesta a diversi giornali fingendosi indignato e offeso da notizie in realtà irrilevanti. Dopo aver pubblicato Una serie di sfortunati eventi la sovrapposizione tra Handler e Snicket si fa quasi indissolubile e, col nome del suo alter ego, l’autore firma anche, tra le altre cose, introduzione e appendici della versione per il mercato anglofono de La famosa invasione degli Orsi in Sicilia di Dino Buzzati.

Lemony Snicket si presenta, altresì, come la voce narrante delle avventure degli orfani Baudelaire, tra l’immaginario di Tim Burton (l’illustratore Brett Helquist si ispira chiaramente al tratto gotico del regista) e quello di Charles Addams, vignettista creatore della Famiglia eponima (non a caso dietro i due adattamenti, per il grande ed il piccolo schermo, in qualità di produttore esecutivo c’è quel Barry Sonnenfeld che de La famiglia Addams è stato regista negli anni Novanta).

Nel film diretto nel 2004 da Brad Silberling, e ricavato dai primi tre romanzi del ciclo (Un infausto inizio, La stanza delle serpi e La funesta finestra), Lemony Snicket resta una voice over senza volto (ne vediamo solo la silhouette in più di un’occasione e ci pare quasi di riconoscervi il longilineo Jim Carrey, interprete del conte Olaf cinematografico), un acusma onnisciente con la cadenza, in originale, di Jude Law, mentre nella serie Netflix è una presenza fisica ricorrente (lo interpreta Patrick Warburton) che educa lo spettatore attraverso la sua indagine (nella sigla assistiamo al formarsi della classica mappa investigativa vista nei tanti thriller in cui la scoperta della verità è un’ossessione del detective). Una presenza che si rivelerà sul finale (grazie ad una foto rivelatrice mostrataci come quella nell’epilogo di Shining), come ben sanno quanti hanno letto i libri, molto più che un narratore extradiegetico. Anzi, l’ormai convenzionale inganno perpetrato ai danni dello spettatore sfruttando i codici del sintagma alternato (e che vede protagonisti Cobie Smulders, come Neil Patrick Harris proveniente da How I Met Your Mother, e Will Arnett ovvero voce e mente di Bojack Horseman) ha proprio a che fare col passato di Lemony Snicket.

Da questo punto di vista, oggi e per di più su una piattaforma come Netflix, il cui target di pubblico è formato da spettatori più consapevoli e preparati, Lemony Snicket, coi suoi continui tentativi di dissuadere dalla visione (e lo svelamento frequente dei meccanismi di narrazione), e il conte Olaf politicamente scorretto, sono forse personaggi accettabili e accettati (cosa non avvenuta nel 2004, relegando la pellicola, tutt’altro che poco riuscita, al limbo dei flop).

Dissuadere dalla visione: fin dalla sigla (Look Away, Look Away canta Neil Patrick Harris sulle note composte da James Newton Howard) il tema pare essere la sofferenza scaturente dall’affidarsi al senso della vista, quando non addirittura la fallacia della funzione scopica rispetto a quella intellettuale. Gli sfortunati eventi nei quali incorrono i protagonisti trovano spesso soluzione nelle biblioteche (quella del giudice Strauss in Un infausto inizio, quella di zia Josephine in La funesta finestra) e, in fondo, gli unici spesso a vedere le cose come stanno sono proprio Klaus, Violet e Sunny in virtù del loro sapere mentre gli altri adulti (il signor Poe in particolare) non si accorgono neanche dei discutibili travestimenti di Olaf. E mentre il sapere, la conoscenza, le parole (di cui Lemony Snicket non manca di spiegarci significato e uso corretto) danno potere, la vista, l’occhio può farlo perdere, come accade a Klaus in La sinistra segheria, dove ritroviamo Catherine O’ Hara (nel film interprete del giudice Strauss, qui impersonata da Joan Cusack) nei panni della dottoressa Georgina Orwell, oculista/occultista, complice ed ex fiamma abbandonata di Olaf. Del resto, tale è la precaria sicurezza data dalla vista che la società segreta, di cui i Baudelaire scoprono hanno fatto parte i genitori ed i vari tutori conosciuti nel loro girovagare da una casa all’altra, ha sì come simbolo un occhio stilizzato, ma i suoi membri hanno in dotazione un cannocchiale col quale decifrare codici, per vedere oltre le apparenze. E molti sono i riferimenti colti cinematografici (che si aggiungono a quelli letterari già presenti nelle pagine dei libri) celati oltre l’apparenza della favola gotica per adolescenti (la saga di Lemony Snicket è, a dirla tutta, una parodia riuscita del genere young adult): da Entr’acte di René Clair (una plongée ci mostra una ballerina in tutù che si rivela essere un barbuto Olaf alle prese con le prove del suo spettacolo), al cinema Murnau (dove i Baudelaire si recano con lo zio Monty a vedere Zombies in the Snow, una sorta di versione espressionista del lavoro nordixploitation di Tommy Wirkola, Dead Snow) passando per Freaks di Tod Browning (cui rimandano le due gemelle incipriate assistenti di Olaf).

La natura global dell’offerta audiovisiva della piattaforma produttrice e ospitante, poi, spiega una composizione maggiormente multiculturale del cast, sicché, mentre nella trasposizione cinematografica il signor Poe era impersonato dall’inglese Timothy Spall, Monty dall’attore scozzese Billy Connolly e l’omnifobica zia Josephine da Meryl Streep, nella versione Netflix abbiamo due afroamericani nei panni di Poe (K. Todd Freeman) e zia Josephine (Alfre Woodard) ed un interprete di origini indiane (Aasif Mandvi) in quelli di zio Monty.

Autore: Rosario Gallone
Pubblicato il 08/02/2017

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