Un intellettuale di borgata

«Io so i nomi dei responsabili…»

Pier Paolo Pasolini: Corriere della Sera, 14 novembre 1974

«[…] andavano a giocare a pallone lì sullo spiazzo

tra i Grattacieli e il Monte di Splendore, tra centinaia

di maschi che giocavano sui cortiletti invasi dal sole.[…]»

Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita

Il prossimo anno scoccherà il quarantesimo anniversario della truce morte di Pier Paolo Pasolini. Otto lustri in cui ogni anno qualche sua opera rinvenuta “casualmente” viene pubblicata con grande clamore, oppure altri testi vengono rieditati con l’aggiunta di una prefazione di qualche intellettuale pronto a spiegare l’opera e la persona. Quattro decenni in cui la sua opera si è trasformata in ostia sacra, e come in una ipocrita liturgia è stata spezzata e presa da tutti, credenti e non credenti, redenti e non redenti. Ma in pochissimi l’hanno saputa assimilare, e in pochi hanno capito il “sacrificio” di questo Cristo intellettuale scomodo che cercava di scacciare dal tempio (Italia) i nuovi Farisei (la classe dirigente e politica). L’opera artistica di Pasolini, che va dalla poesia al cinema passando per la narrativa e la pittura, è un opus immenso che a distanza di tempo risulta ancora magmatica, scottante e stridente. Sprezzante negli argomenti trattati ma con una atavica radice conservatrice, dal sapore cattolico (accusa lanciata anche dal suo amico Alberto Moravia). Amato (poco) e odiato (molto), Pasolini ha vissuto la sua vita, artistica e privata, sempre in prima linea e sotto l’incessante fuoco nemico, proprio come un vero intellettuale dovrebbe fare. Di credo marxista ma con un atteggiamento reazionario, sempre stato critico in primis verso il PCI, quel partito che lo aveva scacciato nel 1949 dopo i fatti (carnali) di Casarsa. Temuto e tenuto in disparte in vita, dopo il suo martirio Pasolini è stato accettato e “beatificato” anche da quelle figure nemiche. Quindi a trentanove anni dalla sua scomparsa, dopo molti omaggi, saggistici e documentaristici, sinceri ed ipocriti, che cosa si può dire di nuovo su di lui? Come si potrebbe e dovrebbe ricordarlo?

A questa lunga serie di ossequi culturali si aggiunge Un intellettuale in borgata di Enzo De Camillis, premiato al Festival OMOVIES di Napoli come miglior docu-film, e successivamente presentato fuori concorso al Riff di Roma. Ma qual è l’intento di questo documentario post mortem? Mostrare l’attualità del verbo di Pasolini attraverso tre percorsi: la formazione e maturazione di Pasolini nella borgata romana; la modernità della sua opera anche dopo la sua morte, attraverso aneddoti di persone che lo hanno conosciuto e intellettuali di oggi; la riproposizione integrale dell’articolo Io so attraverso la recitazione di Leo Gullotta.

È proprio con quell’articolo sul Corriere della Sera, che nel quinquennio 1972-1977 stava vivendo un periodo di splendore illuminista, che Pasolini firma definitivamente la sua condanna a morte. Quell’accusatorio Io so che sembra scolpito nella pietra e mostra il coraggio di un intellettuale che utilizza la sua notorietà per gridare e puntare il dito verso i crimini anti-democratici che stanno avvenendo in Italia. Chiamato dal Direttore Piero Ottone a scrivere editoriali e corsivi in prima pagina, Pasolini collabora con il Corsera tra il 1973 e il 1975. I suoi articoli destano sempre scandalo ed infiniti strali polemici (ad esempio l’articolo Sono contro l’aborto), verranno poi raccolti e pubblicati nel volume Scritti corsari, edito nel maggio 1975. Tra questi corsivi corsari quello più notorio è proprio Io so, in cui Pasolini, attraverso la prima pagina del più importante quotidiano italiano, si scagliava contro i poteri forti, rivelando che lui aveva capito che tutte le stragi che stavano insanguinando l’Italia facevano parte di una architettata strategia dittatoriale, quella che successivamente verrà definita Strategia della tensione (1969-1980). Nel documentario Gullotta, sguardo in macchina, declama per intero l’articolo che inframmezza le interviste ed i filmati d’epoca. Con voce teatrale e fermamente accusatoria, l’attore siciliano cerca di ridare forza e vita a quelle parole rabbiose, e con uno sguardo accigliato e in close-up si rivolge alla platea, che ipoteticamente potrebbe anche contenere i fautori di quel losco e buio periodo.

Le sezioni in cui si rievoca il contatto di Pasolini con la borgata romana vengono affidate a due ex ragazzi di vita: Silvio Parrello e Umberto Mercatante. Due anziani superstiti di una “civiltà borgatara” che è ormai scomparsa e sepolta, anche a causa di quel genocidio urbanistico causato dallo sviluppo capitalistico. I due ricordano il Pasola come un amico, un fratello maggiore, che non disdegnava di giocare con loro sul quel polveroso campetto da calcio situato tra i Grattacieli e il Monte di Splendore, minuziosamente descritto in Ragazzi di vita. A distanza di tempo lo ricordano ancora con grande affetto e soprattutto con rispetto per la cultura che gli ha trasmesso, perché Pasolini era un abile comunicatore e un bravo pedagogo, che cercava di insegnare anche le cose più difficili con esempi semplici, come un Socrate moderno. A riprova di questa sua predisposizione di educatore, seppur non inserito nel documentario, vi è quel noto spezzone di Pasolini l’enrangé di Jean-André Fiaschi, in cui a casa di Ninetto Davoli Pasolini risponde con esempi semplici e maieutici alle domande del suo giovane e innocente attore. Silvio Parrello, che è diventato un poeta e pittore naive, inoltre racconta anche di come è cambiata Donna Olimpia, trancio urbanistico del quartiere Monteverde in cui Pasolini visse dal 1954 al 1963. Donna Olimpia, presente nel romanzo Ragazzi di vita, è il primo tassello rurale della “pentalogia borgatara” che ci viene tramandato da Pasolini in forma preziosamente descritta con stilemi cinematografici. Le altre borgate saranno Pietralata (Una vita violenta); Tor Pignattara (Accattone); Cecafumo (Mamma Roma); Acquasanta (La ricotta). Con questo contatto diretto con la borgata e le anime che la vivono e la popolano, Pasolini rafforza quel suo atteggiamento intellettuale di essere in rapporto diretto con la società e la massa, soprattutto con i ceti più poveri. Empatia per il sotto-proletariato (o ceto astorico) che Pasolini sperimentò già in Friuli, quando si mise dalla parte dei braccianti per la lotta contro i padroni, come testimonia anche l’acerbo romanzo Il sogno di una cosa, scritto negli anni ’40 ma pubblicato poi nel maggio 1962.

L’aspetto attuale del verbo pasoliano viene lasciato, invece, all’eterogeneo parterre di intervistati. Una lunga e variopinta lista di nomi composta da: Stefano Rodotà, Gianni Borgna, Otello Angeli, Maurizio Ponzi, Antonio Del Guercio, Luciana Capitolo, Citto Maselli, Ugo Gregoretti, Nino Russo, Goffredo Bettini, Vincenzo Vita, Renato Parascandalo, Osvaldo Desideri e Pupi Avati. Ognuno rievoca un aneddoto oppure specula una sua riflessione su una determinata opera o dissertazione pasoliniana. Però tutti sono d’accordo nel ritenere che Pasolini, se fosse ancora in vita, sarebbe ancora in prima linea a lottare e mettere il dito nella piaga, sempre uno contro tutti! Ad esempio l’Onorevole PD Vita, ex FCGI, ipotizza come sarebbero ancora più agguerriti gli scritti di Pasolini nell’era di Internet; oppure il regista Gregoretti sottolinea come manchi nella società italiana odierna un intellettuale scomodo come Pasolini, che sappia mettere in luce il marciume. Stefano Rodotà, giurista, invece parla dello stato attuale della società italiana, per certi versi non molto diversa da quella vissuta da Pasolini.

Un intellettuale in borgata è, per il momento, l’ultimo omaggio a Pasolini. Diretto da Enzo De Camillis, navigato scenografo di molto cinema italiano, questo documentario, onesto nelle intenzioni, poco aggiunge alla figura di Pasolini, tranne la presenza di nuovi intervistati e l’inserimento di qualche documento audio/video non utilizzato precedentemente (l’audio over ad inizio pellicola della difesa di Antonello Trombadori a favore di Pasolini, nel 1960). Quello che non convince pienamente è l’aver aggregato tante e troppe argomentazioni assieme e di non averle amalgamate bene. Ad esempio la “cornice” e filo conduttore in cui Gullotta recita Io so sembra un momento a sé rispetto al documentario. Mancano le figure storiche di quei ragazzi di vita che hanno conosciuto e “vissuto” Pasolini per lungo tempo. Ad esempio Davoli, visto recentemente in Felice chi è diverso di Gianni Amelio, non è presente. Molto probabilmente non avrebbe detto nulla di nuovo, ma rimane comunque una delle presenza viventi che hanno frequentato il Pasola e che lo conoscono approfonditamente. Oltre a ciò non tutti i personaggi intervistati sembrano pertinenti con Pasolini. A volte sentire e vedere alcuni di loro conferma l’alone ipocrita che ancora copre questo immenso e magmatico personaggio della cultura italiana. Goffredo Bettini, ex FCGI, è rappresentante di quell’odierno PD che ha tradito le radici del PCI, e su cui sicuramente Pasolini avrebbe scritto infiniti articoli di disapprovazione, per non dire di rabbia. L’intervento di Pupi Avati, in merito alla sceneggiatura di Salò o le 120 giornate di Sodoma, c’entra quasi o nulla. Anche la presenza di Rodotà, esimio difensore della costituzione e del Diritto civile, ormai sempre più spesso interpellato in documentari pro-Italia e pro-libertà, risulta poco interessante ed incisivo. Notevole, invece, la presenza del recentemente scomparso Gianni Borgna, che aveva conosciuto Pasolini quando militava nelle file del FGCI. Le sue dichiarazioni, le più sincere e di prima mano, rendono al meglio la caratura del poeta friulano. In poche parole di Un intellettuale in borgata rimane l’onestà del progetto, di pratico manualetto per ricordare (anche quest’anno) Pier Paolo Pasolini, ma che aggiunge poco a quello che è stato già detto o scritto. De Camillis, che nelle interviste dice di aver conosciuto Pasolini quando era frugoletto e non in modo approfondito, vuole inserire troppi argomenti, che tradiscono anche il titolo del documentario, che potrebbe far pensare semplicemente alla “discesa” di un intellettuale nelle terre sozze e incolte delle borgate. Un omaggio reso a metà, che resta in superficie.

Autore: Roberto Baldassarre
Pubblicato il 18/08/2014

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