The Sound and the Fury

Il tentativo fallito di confrontarsi con un capolavoro della letteratura del Novecento. Che è già tra di noi da almeno quarant'anni.

La relazione tra cinema e letteratura è da sempre una delle questioni più spinose dell’approccio critico a entrambe le arti, è sempre complesso stabilire cosa rende riuscito un adattamento da un libro o se esiste un modo ideale per tradurre in immagini quanto evocato dalla parola scritta. Per semplificare possiamo individuare due grandi modalità di relazione tra la letteratura e cinema: la prima, e più diffusa, guarda al testo letterario come a una struttura narrativa dalla quale prendere personaggi, situazioni, svolgimento del racconto per poi riscriverlo come sceneggiatura e adattarlo così al linguaggio cinematografico; la seconda, più complessa, è quella che individua nel testo di partenza un materiale da accogliere all’interno del discorso filmico, rendendolo presente ed evidente, con le parole che vengono spesso dette, non recitate, da attori invitati ad evidenziare l’idea del film come di un testo secondo rispetto alla matrice letteraria (è il caso del cinema di Robert Bresson o Straub-Huillet).

L’instancabile James Franco sembra ipotizzare, nel suo ultimo film, un tentativo di relazione con il testo che appare come una terza via rispetto alle due appena descritte. Con The Sound and the Fury prosegue il suo tentativo di rapportarsi alla grande narrativa americana, confrontandosi per la seconda volta, dopo As I Lay Dying, con William Faulkner. Il problema principale che Franco ha dovuto affrontare è la responsabilità di voler adattare non un piccolo romanzo da reinventare e rimodulare liberamente secondo la propria sensibilità, come quasi tutto il cinema di Stanley Kubrick per fare un esempio, bensì uno dei testi sacri della letteratura del Novecento, il capolavoro di Faulkner L’urlo e il furore.

Franco ha compreso perfettamente che limitarsi a raccontare la vicenda narrata dallo scrittore sarebbe stata una missione impossibile (oltre che poco produttiva): L’urlo e il furore vive nella sua forma e della sua forma, è impensabile immaginare le vicende di Quentin, Jason, Caddy private di quella straordinaria mélange di flusso di coscienza, modernità, mito e oralità che Faulkner seppe ideare nel 1929. Il regista si è intelligentemente posto la questione, da qui la sua terza via nel rapporto cinema e letteratura, è ha ideato una forma filmica piuttosto credibile come equivalente audiovisivo della complessa scrittura faulkneriana, una forma composta da flashback e flashforward, da un montaggio ellittico e allusivo, da voci fuori campo intrecciate tra loro. Come a voler tentare non un adattamento del racconto letterario al mezzo cinematografico ma del linguaggio letterario del romanzo al linguaggio cinematografico.

Tutto corretto e preciso ma The Sound and the Fury sembra privo di una vera necessità che non sia quella di soddisfare le ambizioni artistiche del suo regista/attore. Il motivo è uno e semplice: nonostante Faulkner sia uno scrittore ancora relativamente poco conosciuto presso il grande pubblico (soprattutto se confrontato all’antitetico Ernest Hemingway) è innegabile che la sua ombra si sia allungata su gran parte del cinema e della letteratura statunitensi degli ultimi quarant’anni, da Lansdale a McCarthy (da cui Franco ha tratto Child of God), da Lynch ai Coen e Tarantino. Ma soprattutto un regista come Terrence Malick sembra fin dal suo esordio La rabbia giovane, anche grazie ad alcune evidenti assonanze tematiche, aver lavorato una personale reinvenzione cinematografica della parola faulkneriana, una ricerca stilistica culminata ne La sottile linea rossa ed esplosa come vero e proprio cinema di montaggio, assolutamente cinematografico, negli ultimi The Tree of Life e To the Wonder.

A Franco, nella sua inarrestabile foga lavorativa, deve essere sfuggito quanto il fantasma di Faulkner continui ad aggirarsi nel panorama audiovisivo contemporaneo (l’esempio più recente è True Detective): ignorare una simile evidenza e affrontare direttamente l’oggetto in questione, produce un ibrido scarsamente interessante. Dentro una forma elaborata, il cui senso rischia di sfuggire ai più, James Franco si perde le relazioni tra i personaggi (e uno dei miracoli di Faulkner sta anche nelle emozioni autentiche che si riescono a scorgere attraverso e mediante la scrittura) e realizza un esercizio accademico che nel migliore dei casi (la fuga notturna di Quentin) sembra un Terrence Malick minore. Una maggiore umiltà e consapevolezza dei propri mezzi gioverebbero parecchio a James Franco: un film da L’urlo e il furore è una dimostrazione di presunzione difficile da eguagliare. E’ come voler tradurre in immagini La sagra della primavera o in letteratura Rain, Steam and Speed di William Turner. O pensare di adattare L’ulisse di James Joyce al cinema. Capace che tra dieci James Franco ci proverà.

Autore: Germano Boldorini
Pubblicato il 06/09/2014

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