The Lies of the Victors

Hochhäusler cerca di girare un thriller politico di ambientazione giornalistica, ma il risultato manca di ritmo, energia, sguardo

In un mondo come quello di oggi, in cui la comunicazione è sempre più massificata, ipermediale e interconnessa, il modo migliore per evitare la fuoriuscita di informazioni scomode non è più soffocare il racconto ma controllarlo, esserne i primi artefici. Il mito della stampa come cane di guardia del potere rischia in tal senso di diventare anacronistico, vittima delle influenze di eminenze grigie intenzionate a tessere le fila della narrazione pubblica. E’ attorno a questo pericolo che il regista tedesco Christoph Hochhäusler costruisce il suo The Lies of the Victors, un thriller politico di cospirazioni e giornalismo pensato per farsi apologo sui rischi dell’infiltrazione esercitata da poteri occulti all’interno dell’agenda mediatica.

Al protagonista Fabian Groys, reporter di spicco per una rivista d’inchiesta tedesca, cade dal cielo l’occasione per realizzare una grande inchiesta. Con il fortuito aiuto della sua nuova stagista, Nadja, scopre infatti delle interconnessioni tra l’esercito e il suicidio di un ex militare, spinto al gesto estremo dall’esposizione a sostanze tossiche nel corso del servizio in Afghanistan. La storia però non è come sembra, fin dall’inizio le indagini dei due giornalisti vengono monitorate e indirizzate da un consorzio segreto, emanazione di una multinazionale impegnata in una complessa manovra politica d’impatto europeo. Quelle che per Fabian e Nadja sono scoperte scottanti forse allora sono soltanto molliche di pane lasciate da chi ha intenzione di guidarne il lavoro passo dopo passo.

L’intenzionalità del film di Hochhäusler è chiara fin dal titolo, e nel suo sollevare i legami tra spionaggio industriale, nuove tecnologie e controllo mediatico apparirebbe anche convincente. Il problema però è la distanza che separa l’idea dall’atto pratico. E questo perché The Lies of the Victors è un film che dichiara la sua appartenenza ad un genere (il thriller politico americano degli anni Settanta) che però non è semplicemente in grado di essere. Terribilmente lento e a volte davvero troppo ellittico, il film di Hochhäusler non riesce a trovare mai la sua strada, nonostante abbia tutte le carte per costruire un’avvincente storia giornalistica. Incapace o disinteressato a fornire un ritmo o un’atmosfera alla sua narrazione, Hochhäusler pare piuttosto indirizzare tutta la sua attenzione alla messa in scena, appesantita da ripetuti lens flare e soprattutto da insistenti e ridondanti movimenti di macchina. Specie nei dialoghi a due la macchina da presa pare rinchiudersi in uno schema di movimento complesso e assolutamente gratuito, fatto di carrelli e spostamenti circolari resi simmetrici al momento del montaggio. E il paradosso è che nonostante il film sia avvolto da questo costante movimento, nonostante le durate delle inquadrature siano spesso brevissime, tutta questa costruzione stilistica non dona all’opera un grammo di energia, inchiodandola anzi ad un formalismo sterile privo di autentica vivacità. The Lies of the Victors poteva allora essere un ottimo thriller politico, ma per diventarlo richiedeva un polso e una robustezza di sguardo che a Hochhäusler sono mancati totalmente.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 17/10/2014

Articoli correlati

Ultimi della categoria