The Knick 2x07 - William and Walker

La storia dell'occhio, la storia del cinema: dal teatro alla sala.

Un nuovo secolo è alle porte e il Knickerbocker Hospital è la giusta terrazza (o l’esatto mirino scopico) dalla quale osservarlo, un punto di vista illuminante che traccia un percorso illuminato, tra evoluzioni e scoperte, progresso e nuovi mercati, business leciti o meno leciti, sostanze e drugs che crescono ad ogni puntata, tra le quali, ad ora, possiamo annoverare: cocaina, eroina, morfina, adrenalina, trementina e curaro. Le seconda stagione di The Knick esce dalla stanza delle meraviglie cliniche, dal teatro della carne e della dipendenza, evolvendosi dalla microscopia personale dei caratteri in gioco alla macroscopia storica del nuovo millennio. Il nuovo secolo porta con sé nuovi mercati e nuove possibilità, diversificando i campi per gli affari, allargando l’azione economica tanto quanto riesce a fare una nuova energia, dall’elettricità al gasolio. Allo stesso modo, il progresso si costringe in piccole scatole mentali, strette e nefaste, involuzioni delle infinite possibilità offerte, tese alla discriminazione, per esempio, all’eugenetica, alla speculazione, al traffico umano emigratorio, all’epidemia virale. Rispetto alla prima stagione la seconda introduce nell’ambiente contestuale, chiuso come un hub di smistamento narrativo, il mondo esterno all’ospedale, la Storia che fuori dalle sue mura di perpetua.

In un saggio di Roland Barthes intitolato Metafora dell’occhio, spesso in appendice ad alcune edizioni de La storia dell’occhio di Bataille, il critico e semiologo francese considera la trasfigurazione da oggetto ad oggetto della possibilità scopica propria dell’osservatore divenuto oramai entità intercambiabile. Come dimenticarci delle uova che appaiono nella prima puntata – uova di natura batailliana – o come non considerare l’occhio incapace di vedere, e quindi di operare nelle realtà, del dottor Edwards? O come rimanere algidi di fronte alla macchina da presa che subentra in questa puntata, trasformando il teatro in una sala cinematografica? In perenne constrasto con la duplice capacità ed incapacità di azione di Edwards assunto come referente simbolico di tutto un movimento afroamericano? Il Knickerbocker Hospital è un meccanismo cinematografico ed al suo interno operano meccanismi fotochimici che osservano, registrano, riflettono la luce trasferendola su un sopporto fisico di celluloide in un contingente seriale. Un occhio in continua ed altalenante scissione tra la vista (la luce) e la cecità (il buio), un dispositivo che recide un essere umano reale composto da due identità differenti ma simili nella forma (Lumière o Méliès – Zoya o Nika) ed anatomicamente fuse in un solo sembiante: un progressismo siamese da separare, distinguere, da osservare clinicamente per disgiungerlo. L’operazione che Thach compie sulle due sorelle non è da intendere solo come operazione chirurgica avanguardista ma come metafora di un nuovo modo di guardare la realtà e l’irrealtà.

Immagine rimossa.

Armato del suo bisturi scopico sezionerà dividendo il cinema, appena nascente, in due identità ed istanze complementari, da una parte lo spettacolo falso ma suggestivo, capace di sorprendere e meravigliare, proprio di un certo tipo cinema meliesiano, e nella puntata, contenuto nel baraccone dei freak, mentre dall’altra verrà restituita le realtà così com’è ripresa, senza interventi di messa in scena, documentaria e scientifica. In primo luogo, Soderbergh, riprende nel teatro illuminato un’operazione senza scarti immaginifici, reale tanto quanto il sangue che dalla ferita operata sul lembo di pelle fuoriesce, ripresa da un occhio frontale cinematografico, ripresa da un pubblico antistante e totalizzante, un pubblico abituato al vero, al teatro, mentre, al taglio successivo, la realtà verrà riprodotta in un teatro oramai buio come una sala cinematografica, attraverso un fascio di luce impressa su un telo bianco, come una realtà ricondotta attraverso il taglio, il tono, la messa in scena, il montaggio alla dimensione sognante di un pubblico cinematografico. Che sia senza l’illusione o che sia un gesto magico, che sia realtà tout court impressa su sali d’argento o solo finzione montata, non importa, il meccanismo che il progresso ha portato con se è si è fuso con quella bacchetta oculare, si è sostituita all’ipnoterapista, riuscendo ad ipnotizzare, suggestionare il pubblico appena la luce ha iniziato a filtrare, illuminando i fotogrammi di celluloide e diventando cinema. Il reale o l’immaginario possibile (ed ai giorni nostri il digitale ci porta ben oltre i confini dell’impossibile) hanno il loro medium adatto per essere veicolati su larga scala mentre il pubblico ha il suo stato perfetto e funzionale di trance cronofotografica. Trementina e nitrato d’argento si somministravano agli individui nervosi e delicati, due sostanze che dissipano gli stati d’ansia, utili nell’epilessia, e utili come palliativo allo spettatore posto di fronte ad un nuovo mezzo capace di rapire l’occhio ed allo stesso tempo liberare la mente. Ed ecco che Thach può tornare con il suo ruolo centrale di narratore, conduttore privilegiato, ad occupare il suo palcoscenico, inteso questa volta nella doppia accezione di proscenio teatrale e sala cinematografica, mentre egli, cardine portante di una malattia e di un genio secolari, può trasformarsi in mezzo, in meccanica, in un corpo/dispositivo narratologico per un passaggio dal buio della sala alla luce dello schermo.

Dopo questa scena, cuore semantico della seconda serie di The Knick, credo sia riduttivo non analizzare le altre che seguono se non attraverso questa nuova lente che rifrange le analogie disseminate nel corso della puntata, dal meraviglioso piano sequenza della festa di beneficenza, in montaggio parallelo con le immagini in piani fissi della festa degli esclusi al ballo, e di tutte le nuove significazioni che le riprese successive possono così assumere. Mentre nella prima si scivola in long take tra balli e costumi, in stanze di palazzi borghesi dove il sentimento si lega al denaro, dove il business del monopolio trascina la Storia di una Nazione dettando il passo di danza agli affari ed alle sue evoluzioni progressiste, nell’altra, in una squallida stanza di periferia, si sviluppano nuovi metodi per risolvere le necessità degli strati sociali poveri, dove la donna cerca metodi per salvaguardare la sua autonomia, indipendenza e moralità (producendo contraccettivi) nei confronti di una società prettamente maschilista ed affaristica. A sottolineare l’importanza della puntata accorre anche Cliff Martinez, che tramite il main theme Son of Placenta Previa, orchestra il ritmo elettronico del valzer tra meravigliosi, ed efficaci, ralenty. Lo stereotipo ed il divertimento imposto dal gusto dell’uomo bianco nei salotti borghesi di New York, si pitta il volto di nero, entrano in scena Williams e Walker, lo spettacolo può iniziare, si può ridere in maniera composta nel buongusto e nella buona educazione imposta dalla regola mentre la minoranza afroamericana, specializzata, viene esclusa dal progetto del nuovo ospedale. Con un pensiero al concetto che definisce il congiungimento diacronico tra la Storia dell’America con la Storia della sua componente afroamericana.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 01/12/2015

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