The Highest Cost - Brevi note sul cortometraggio ed intervista al regista Matteo Brunetta

Dimostrare e mostrare un’evidenza. Un’altra realtà dei fatti successi durante la tragedia dell’11 settembre 2001 viene messa sullo schermo da Matteo Brunetta, che prende e fa “suo” un tema gestito in modo paradossale dal governo americano. Alcuni dei soccorritori di quel giorno, lavorando ore ed ore per il bene di altri, hanno contratto vari tipi di cancro respirando le particolari alchimie di polveri emanate dai “fuochi” dei due grattacieli. The Highest Cost rappresenta principalmente una messa a fuoco su un problema sociale e al contempo su vari drammi personali, evidenziati con saggezza e grande attenzione al particolare, anche visivamente parlando. Brunetta, coneglianese trapiantato a New York, entra nelle case dei protagonisti, ne analizza i problemi e li mette sotto i riflettori di una concentrazione mediatica statunitense, già particolarmente dedita agli sviluppi della vicenda. Il regista riesce a non cadere come tanti nelle logiche più bieche del trash televisivo, dando la giusta luce alla storia e alla vita degli intervistati, ritratti senza alcun patetismo. La cosa che colpisce è proprio questa, l’analisi di un problema in modo appassionato, obiettivo e senza fronzoli, essenziale nel suo descrivere a livello visivo gli avvenimenti trascorsi attraverso dodici anni di battaglie da parte dei soccorritori. Le sue sono riprese che, seppur essenziali e talvolta sintetiche, riescono benissimo nell’obiettivo di trasportare il messaggio espresso dai due protagonisti intervistati.

Matteo Brunetta, classe 1989, ha presentato in vari festival degli Stati Uniti il suo documentario, sbarcando anche in Tailandia e Singapore, per arrivare poi nel dicembre 2013 in Italia, dove è stato ospite dell’Arcipelago Film Festival. Di seguito il resoconto del breve incontro che abbiamo avuto modo di fare con lui.

Come nasce e cosa ti ha spinto a sviluppare l’idea del documentario?

L’idea di fare questo documentario è nata parlando con un amico giornalista qui a New York che mi riferì di questa notizia, cioè del fatto ci fosse questa legge che provvedeva a risarcire chi si fosse ammalato dopo l’11 settembre escludendo però i malati più gravi, quelli di tumore. A quel punto ho fatto delle ricerche per pura curiosità e mi sono messo in contatto con l’attivista John Feal. Ho deciso di intervistarlo per un progetto scolastico che dovevo fare qui a NYC, e lui mi ha completamente aperto gli occhi e raccontato tante cose di cui ero all’oscuro. Poi, mi ha introdotto a questa grande comunità post 11 settembre, dove ho conosciuto i due protagonisti John e Jeff e da lì ho deciso di girare il documentario.

Quali sono, se ci sono stati, i problemi maggiori che hai incontrato durante la lavorazione?

Problemi particolari non ce ne sono stati, per lo più il difficile è stato all’inizio, far si che i protagonisti si fidassero di me per creare con loro un legame forte. In realtà si è creata una grande amicizia con entrambi e quindi tutto è stato più facile, tanto che sono riuscito a convincerli a visitare Ground Zero dopo ben 11 anni.

La ricerca, la scelta e la conoscenza dei due “personaggi” principali, John e Jeff ha influito in corso d’opera a delle modifiche riguardo le linee guida da seguire?

La scelta dei due protagonisti è stata dettata dal fatto che fossero due personaggi forti e che non avessero problema a raccontare le loro storie, ha inciso inoltre il tempo, il quale quindi non mi ha dato la possibilità di cercare e intervistare molte altre persone. Sono comunque molto contento del fatto che alla fine i miei due protagonisti fossero John e Jeff. Ovviamente poi, ascoltando le loro storie, l’idea originale che avevo in mente prima di iniziare a girare è stata in gran parte cambiata e si è focalizzata più su certi aspetti invece che su altri; questo è il bello di fare documentari, parti con un’idea e il risultato è quasi sempre diverso da quello che immaginavi.

Dicci qualcosa sui tuoi progetti futuri.

Ho in programma due documentari: uno girato ad Ercolano che parla di Radio Siani, una web radio che denuncia la camorra nell’area del napoletano e trasmette i suoi programmi dall’appartamento precedentemente appartenuto al boss Giovanni Birra e di conseguenza parlare deu ragazzi della radio che sono vittime di continue minacce dai parenti del clan Birra; il secondo, invece, lo girerò a New Orleans e sarà incentrato su quello che accadde nelle settimane subito dopo l’uragano Katrina, la proclamazione di legge marziale voluta da Bush e la conseguente sospensione dei diritti umani e civili.

Autore: Jacopo Trevisani
Pubblicato il 03/11/2014

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