Stella Maris

Un gesto anarchico di luce che si riflette pienamente nella tradizione mariana nostrana

In un piccolo comune italiano si apprestano i preparativi per il rito annuale riguardante il culto mariano: la Stella Maris. La statua della Madonna viene illuminata e sospinta a galleggiare nel mare. La corrente la spingerà all’interno di una stretta baia presenziata dalle autorità e dalla popolazione in preghiera. La tradizione del culto include la possibilità di graziare dalla reclusione uno dei cinque prigionieri che riuscirà, nuotando, a raggiungere e toccare la sacra effige prima che questa entri nella baia superando una linea tesa tra due punte rocciose.

Giacomo Abbruzzese, regista italiano tarantino di origini francesi, include con il suo cortometraggio un gesto anarchico di ribellione, da parte di un giovane writer e della sua compagna, all’interno di una tradizione non solo italiana come quella riservata al culto mariano. E’ la luce ad essere vettore di narrazione e di svelamento. Così come nel suo precedente lavoro, l’apprezzato ed apprezzabile Fireworks, incentrato anche’esso su di un atto di protesta (in quel caso nei confronti delle morti sul lavoro legate allo stabilimento tarantino dell’Ilva), l’intensità assunta dall’illuminazione, di colore, d’intensità o di pirotecnica, diventa principio portante di una narrazione e di un atto in grado di sottolineare una volontà di negazione e protesta giovanilistica all’istituzione. Un’istituzione cancerogena (l’Ilva in Fireworks) che si fa portatrice di uno status quo immodificabile ed ipocrita (l’utilizzo dei led a sostegno di un’ecosostenibilità di facciata in Stella Maris), a discapito di un senso di libertà oppresso; una libertà che coincide spesso con un gesto di creatività anarchica in grado di sintetizzare in un’immagine (caratteristica propria dei writers) un significato latente, un’immagine in comunicazione con la popolazione civile ed atta ad aprire falde di riflessione all’interno di un pensiero strutturato, veicolato e costretto dall’immaginario del sistema che le assoggetta ed annichilisce. Riconosco quanto sia veramente difficile trovare un regista così attento all’intervento che una fonte luminosa riesce ad avere all’interno di una narrazione. La luce, come prima cosa, racconta. Oltre ad essere un meccanismo drammaturgico, è capace anche di svelare l’immaginario e sciogliere nel suo riflesso la stessa messa in scena, e/o donando sfumature di significato al contesto ed ai personaggi e/o svelando qualcosa che prima nell’oscurità veniva celato. Mi riferisco, in questo caso, a due scene specifiche davvero molto interessanti: la prima, ad inizio cortometraggio, dove un artista del luogo che da anni si occupa della festività mariana prova le luci (luci classiche e calde, ad incandescenza e luci a led) che costituiranno l’intelaiatura della sacra effige e la seconda scena, svolta davanti al giudice mentre i cinque detenuti vengono presentati. La luce, in questo caso, si fa svelamento del significato della scena stessa, l’apertura del tendaggio che oscura la sala del giudice svelerà dal buio la scritta: "La legge è uguale per tutti", questa scritta, precedentemente celata, diventa un vettore di significato all’interno dell’azione successiva. La volontà di raggiungere nuotando la Stella Maris si caricherà della forza della misericordia, ma non certo di carattere cattolico ma umano, fisico e muscolare. Come a sottolineare che non esiste miracolo se non quello che l’uomo riesce a compiere con le proprie mani. Inoltre, aspetto ancor più interessante, è la capacità di raccontare una storia di finzione – per certi versi di genere – dentro un contesto realista ed antropologico italiano. Riuscire quindi ad unire l’aspetto narrativo pop dentro una cornice realistica in grado di veicolare un messaggio sociale. Questo è quello che nel cinema italiano – da molti anni a questa parte - spesso manca e questa è una qualità primaria posseduta da Abbruzzese.

Inoltre la storia dell’illuminazione della Stella Maris è anche la storia dell’evoluzione tecnologica dell’utilizzo della luce, dallo stoppino inserito nel bicchiere contenente il petrolio, della tradizione, alle luci ad incandescenza moderne, fino ad arrivare al led contemporaneo. E non è un caso se nel finale l’effige mariana si riapproprierà della vera, e primordiale, sua luce, quella data dall’elemento naturale che illumina e scalda, pre-elettrico e pre-industriale, il fuoco appunto.

Prodotto da due attente case di produzione, la Dugong e La Luna Productions, realtà italiana la prima e francese la seconda, di cui in futuro sentiremo sicuramente ancora parlare, così come delle qualità dell’autore, del quale aspettiamo il suo ultimo lavoro, Fame, di nuovo prodotto da questo fertile connubio artistico e produttivo.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 15/02/2016

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