Roma piuttosto che voi

Lungometraggio d’esordio per Tariq Teguia: il desiderio di fuga di una giovane coppia algerina tra le strade di un film-spettro.

Nel 2006, a pochi mesi dal suo quarantesimo compleanno, Tariq Teguia è alla Mostra di Venezia con il suo lungometraggio d’esordio, negli Orizzonti mappati da Marco Müller che al suo cinema tornerà ancora tra il Lido e il Festival di Roma. Roma piuttosto che voi (Roma wa la n’touma) non tarda a rivelare uno sguardo tra i più complessi e limpidi del cinema contemporaneo, i cui semi erano stati già lanciati in una serie di cortometraggi, a partire dai primi anni Novanta: Kech’mouvement, Le Chien, Ferrailles d’attente e Haçla. Ha l’andamento, gli occhi di una perdita, Roma wa la n’touma. È un cinema come misurazione impossibile, come gesto, slancio vitale quanto effimero, come ipotesi sempre da rifondare. Il suo fallimento è la realtà. E dunque, per Tariq Teguia, il cinema è necessariamente questione dello sguardo, una questione politica. I personaggi del film sono come i luoghi di Algeri e dintorni che attraversano, sono residenze incomplete, costruzioni parziali, abitazioni non protette, periferie dimenticate. E al contempo, Zina (Samira Kaddour) e Kamel (Rachid Amrani), riescono a essere qualcos’altro: più che linee e frammenti narrativi, sono avveramento, dispersione, mondo.

Sono desideri, il loro amore è quasi una forma astratta, una sorta d’invenzione che si danno, un’utopia che può trovare possibile sostanza solo nello spazio transitorio, fragile, rimandato e violato, della fuga. Quelle che compongono il titolo del film sono parole che affiorano come in un gioco che squarcia il reale, la sua immobilità, accumulate e messe in fila da Zina nel dialogo col ragazzo, mentre camminano, prima ancora di un orizzonte da cercare, prima di vagare per le strade alla ricerca di uomo, un marinaio, detto il Bosco, che potrebbe fare in modo di farli partire per l’Occidente. Zina e Kamel sono un limbo, una geografia indefinita, una rappresentazione interrotta, possono riconoscersi soltanto tra di loro, come in uno specchio. Roma piuttosto che voi è la loro mancanza, la cristallizzazione beffarda del loro tempo, è una coazione, il dirottamento del reale in un movimento a cui è negata una direzione, una convergenza, un’apertura, un altro mondo. Altri occhi.

Sono corpi erranti, i due protagonisti, dentro il film che è uno spettro. Il movimento di macchina che lo apre dà la dimensione di un vagolare languidamente alla ricerca del fuoco centrale. La nebbia, il ciglio della strada, l’orizzonte senza contorni e profili, l’autunno, forse l’inverno, tutto quello che non vedremo, quello che non vedranno. Potrebbe stare tutto in questa sequenza iniziale, di pura inafferrabilità, di rinuncia al dettaglio, dove il cinema, il suo linguaggio, riesce a creare, a produrre senso come fosse muta allucinazione. O, ancora, tutto potrebbe stare nella sequenza finale, in un altro andarsene (ora veramente senza più meta), un dialogo irreale, in un limite travalicato tra morte e vita, esistente e inesistente, e uno sguardo finale, in macchina, rapito e interrotto, in un attimo soltanto.

Roma wa la n’touma si muove dentro e fuori la finzione, godardianamente, dialoga con la pratica del documentario, per scavalcarla, non dimenticarla. È anche, quindi, congegno teatrale, di messa in scena di interni; e allora le parole della jihad sono piatto, ridicolo e ottuso dispositivo, in questa Algeria dove il recente passato di sangue non sa dare al presente un futuro ma, anzi, lo imprigiona. La scena del gioco sulla spiaggia di Zina e Kamel e il loro amico, insieme a dei bambini potrebbe essere un altro film, provenire da chissà dove. Provare a scappare: verso Roma, l’Europa, o anche l’America. Ma senza l’“avventura” della fuga, della tensione di un obiettivo, della drammaticità di un esito, senza esibire una tragedia. Conservando, però, nell’apparente programma di raffreddamento, il tepore sommesso di un sogno, di più sogni infranti.

Autore: Leonardo Gregorio
Pubblicato il 24/11/2016

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