Roma 2013 / Hunger Games – La ragazza di fuoco

E’ un rito eterno. La capacità che ha la grande industria hollywoodiana di dare forma ai desideri, i sogni e le aspirazioni del pubblico mondiale, soprattutto più giovane: il divismo, le emozioni trasmesse dalle grandi strutture narrative, il fascino dell’identificazione con gli attori sullo schermo, sono aspetti da sempre molto importanti per il cinema. Un elemento, quello dell’esperienza spettatoriale, che ha contribuito fortemente alla nascita del cinema per come lo intendiamo oggi: le ragazze degli anni Venti che deliravano per Rodolfo Valentino non sono così distanti dalla massa di adolescenti che ha invaso l’Auditorium romano per Hunger Games – La ragazza di fuoco e la sua protagonista Jennifer Lawrence.

La saga di Hunger Games è uno dei fenomeni culturali più interessanti degli ultimi anni e prima o poi dovremo dedicare un approfondimento a le trasposizioni cinematografiche dei romanzi di Suzanne Collins stiano riuscendo a incarnare magnificamente le fantasie degli adolescenti in tutto il mondo. Ed è fuori discussione la fattura della confezione, il senso del ritmo, la progressione calcolatissima di tensioni, momenti d’intimità, umorismo: Hollywood è una macchina e sul funzionamento del puro meccanismo difficilmente sbaglia qualcosa.

Quello che ci sembra però è che Hunger Games sia mediamente assai meno interessante di altre grandi saghe che hanno fatto la storia del cinema: non si tratta tanto del modo superficiale con il quale sfiora temi come il cinismo dei media o il mondo come spettacolo crudele, quanto di una mancanza di fantasia e di lavoro sull’immaginario collettivo che lascia davvero perplessi. La cosa più evidente è che a Hunger Games manca una visione forte del cinema, un talento vorticoso capace di trainare la saga oltre gli steccati di un semplice lavoro da catena di montaggio. Senza il sincretismo culturale di Lucas o Spielberg, la megalomania di Peter Jackson o il gusto per l’eccesso di Michael Bay (tanto per fare i primi esempi), la saga interpretata da Jennifer Lawrence sembra solo lo specchio dei timori, le ansie e le paure di un’industria cinematografica in piena crisi (economica ma soprattutto creativa). Tutto in Hunger Games è prevedibile fino allo sfinimento, tutto è privo d’idee, di squarci di grande cinema, della consapevolezza metacinematografica che ha reso immense saghe come Star Wars o Il Signore degli Anelli . E’ come se mancasse la capacità di lavorare dentro il sistema degli studios, erodendolo dall’interno con consapevolezza e creatività: stare dentro le regole e giocare con i cliché. Questa volta dietro l’industria c’è solo il vuoto.

Dispiace scriverlo, ma vedendo questo secondo capitolo di Hunger Games , che replica con modifiche minime il plot del precedente, non abbiamo percepito i voli della fantasia, il sogno di mondi altri, il divertimento nel far parte di un gioco intelligente e consapevole, ma ci siamo sentiti come ingabbiati in un lavoro di sola scrittura, un’illustrazione di meccanismi abusati, senza mai una sbavatura, un’imperfezione affascinante, una nota stonata. Hunger Games è il manifesto perfetto del cinema statunitense contemporaneo: un blockbuster costoso e asfissiante, che frulla insieme temi orecchiati qua e là (la paura per una rivoluzione dal basso, l’idea del torneo fino alla morte –un incrocio tra Battle Royale e Flash Gordon ), e li cucina a uso e consumo di un pubblico adolescente evidentemente incapace di smascherare l’evidenza del meccanismo, l’esilità della situazioni e dei personaggi, il furbo utilizzo di strutture base messe in scena senza il minimo sforzo creativo.

L’unica cosa veramente spendibile di Hunger Games è la sua protagonista Jennifer Lawrence. Corpo attoriale di una bellezza imperfetta e affascinante, la protagonista regge straordinariamente bene il peso di un film intero sulle spalle: è lei il centro di tutto, il fulcro narrativo e stilistico (le decine di primissimi piani) di tutta la saga, la star capace di far sognare il pubblico. Già vincitrice di un premio Oscar, Jennifer Lawrence è il motivo di maggior interesse del film, ed è piuttosto interessante osservare la duttilità della giovane attrice, tanto intensa in Un gelido inverno e Il lato positivo quanto perfettamente a suo agio perduta nei boschi di Hunger Games . E’ lei la star del momento, l’idolo da venerare, l’oggetto dei desideri e dei processi di identificazione degli adolescenti di tutto il mondo, ancora più interessante proprio perché fragile, timida, intensa. Se dobbiamo trovare una ragion d’essere a Hunger Games questa è sicuramente Jennifer Lawrence.

Autore: Germano Boldorini
Pubblicato il 31/10/2014

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