Roma 2012 / Tom le cancre

Trascorsi i primi minuti di Tom le cancre l’inevitabile pensiero che prende forma è quello dell’errore di stampa. E’ infatti difficile immaginare l’ultimo film di Manuel Pradal come un Fuori Concorso, per quanto presentato in sordina nell’ultimo giorno di festival come di fatto è accaduto; la fiaba del regista di Maria della Baia degli Angeli è infatti un film estremamente debole e a stento accettabile anche per la sezione Alice nella Città, alla quale avrebbe dovuto appartenere almeno per target di riferimento. Giocato su un elementare realismo magico, Tom le cancre offre ben poco a chi abbia superato i 14 anni di età, a parte il tratteggio di alcuni peculiari personaggi e la forte simpatia dei bambini protagonisti, purtroppo messi da parte mano a mano che la storia procede.

Tom il somaro è una sorta di Huckleberry Finn, giovane solitario dedito ad una sregolata e solitaria vita nel bosco. La sua tranquillità verrà però interrotta dall’arrivo di un gruppo di bambini in gita scolastica, smarritisi nella foresta dopo che la loro maestra è svenuta per aver mangiato un qualche tipo di bacca velenosa. Tom si ritrova così circondato, ma piuttosto che impegnarsi a riaccompagnarli subito a casa si applica in un’opera di sistematica diseducazione, scardinando ogni buona maniera o precetto insegnato ai piccoletti. Dopo aver assaggiato le delizie della vita boschiva il gruppo chiede però a Tom di tornare a casa; il ragazzo acconsente, ma l’intervento di un uomo-lupo meccanico necessario per riparare il mezzo complicherà le cose, specie dopo il ritrovamento della maestra, svampita e smemorata per via delle bacche ingerite.

Per quanto non particolarmente originale, lo spunto di partenza di Tom le cancre ha i suoi aspetti interessanti, che del resto abitano con piacere i primi minuti di una pellicola che poi paga la totale assenza di direzione e la povertà del manico. Ricalcato sul capolavoro di Mark Twain (dal quale secondo Hemingway discende tutta la letteratura americana moderna), il personaggio di Tom è intrigante e piacevole, come del resto sono irresistibili le lezioni che egli impartisce agli sperduti neo-allievi che gli sono comparsi dal nulla. Poi però arriva il viaggio e l’incontro con l’uomo lupo, di professione meccanico, che tenta di spingere il pedale della dimensione fiabesca affondando invece il film nella noia e superficialità infantile più assoluta. Pradal a quel punto avrebbe potuto creare una geografia boschiva alternativa, un vagare di luogo in luogo, di fiaba in fiaba seguendo un’architettura di vagabondaggio omerico che gli permettesse di spaziare con l’immaginazione. Il percorso adottato invece, nonostante il fortuito ritrovamento della maestra, non regala alcuna emozione oltre alla noia, a parte qualche breve sussulto di poche idee valide buttate lì senza possibilità di attecchire veramente.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 22/01/2015