Roma 2012 / The Twilight Saga: Breaking Dawn – Parte 2

All’interno della sezione Fuori Concorso, il Festival di Roma presenta in anteprima mondiale l’ultimo capitolo della saga vampiresca più famosa del mondo. Con The Twilight Saga: Breaking Dawn – Parte 2 si giunge al termine di questo viaggio nel mondo fantasy-pop-dark (e chi più ne ha più ne metta) ideato dalla mente di Stephenie Meyer, i cui romanzi hanno avuto un enorme successo planetario. Chiunque sia giunto fino a questo punto, ha probabilmente già preso visione dei capitoli precedenti, e magari letto anche i libri. Può dunque assistere con un certo stupore alla realizzazione cinematografica di questa battuta finale. Lo stupore, nel caso della sottoscritta, deriva da un errore che non si dovrebbe mai commettere quando ci si pone di fronte ad una pellicola da dover analizzare poi: il pregiudizio. In realtà, non poi così ingiustificato. Conoscendo il contenuto e le trasposizioni filmiche già effettuate, è naturale aspettarsi un certo risultato, che difatti è quello che poi si è ottenuto, ma con degli elementi positivi inaspettati.

Come già detto riguardo a The Twilight Saga: Breaking Dawn – Parte 1, la suddivisione in due film del volume finale della saga non poteva, neanche volendo fingere, avere una motivazione al di là della sfera commerciale. Il libro è un continuo parlare: i dialoghi riempiono le pagine, dove l’azione finale, quella che dovrebbe portare ad uno scontro epico ed indimenticabile, viene solo sfiorata ma poi evitata in nome di un pacifismo estremizzato. Quindi, a dispetto di un dispiegamento bellico di famiglie di vampiri e di licantropi, tutta questa forza magica viene letteralmente sprecata in una mera risoluzione diplomatica. A cosa serve creare tutto un universo di creature potenzialmente letali se poi il loro potere non viene espresso in pieno? Viste queste premesse, questo secondo film, tratto dall’ultimo libro, non poteva che presagire a quasi due ore di noia mortale. La noia difatti c’è stata, ma non mortale come ci si aspettava.

Bill Condon è stato capace (e ne aveva dato un assaggio nella precedente pellicola) di fare del suo meglio con il peggio a sua disposizione. Senza stravolgere trama e dinamiche relazionali (la Meyer ed i fan non gliel’avrebbero permesso), è riuscito comunque a dare la parvenza di un brivido di piacere con un finale alternativo (sebbene illusorio). I suoi sforzi sono stati in particolar modo indirizzati ad enfatizzare la sostanziale differenza tra questo film e quello precedente: la protagonista, Bella, non è più la stessa, perché ora è diventata una vampira. Una vampira madre, per di più, alle prese con una figlia che cresce in maniera innaturale. Avendo dalla sua un buon cast tecnico (nel quale spicca il già citato John Bruno, autore degli ottimi effetti speciali), Condon confeziona un abito decente per un’anima destinata a non essere salvata. Se lo scopo era tratteggiare un universo dark-gotico adolescenziale, lo scopo è stato ampiamente raggiunto. Persino gli attori sembrano fare degli sforzi in più, qui come nella parte precedente, magari in vista dello sprint finale. La Stewart è riuscita addirittura a mostrare ben tre espressioni facciali. Viste le premesse, tutto ciò sembra avere dell’incredibile.

Il resto della questione è già noto, ed anche se siamo al quinto film, non si distacca poi molto da un discorso che si può già fare sui capitoli precedenti. Siamo sempre alle prese con l’universo chiuso della coppia Bella-Edward, che, dopo la trasformazione di lei, trova un più importante ruolo all’interno del clan vampiresco dei Cullen. In fondo, tutta la storia non è altro che una lunga esaltazione sull’importanza della coppia che deve poi dare vita ad una famiglia, nel rispetto del più profondo spirito puritano (nel quale si inserisce anche la ferrea castità prematrimoniale dei due protagonisti). E dal momento che si sta parlando di vampiri, questa famiglia va a costituire un circolo ancora più chiuso, dove il confine noi-altri è tracciato ancora più in profondità. Ma il buonismo infuso nell’intera vicenda va ad intaccare anche questo aspetto: le barriere razziali in questo magico mondo di buoni non devono esistere, quindi un vampiro deve avere gli stessi diritti di un licantropo. E poco importa se poi uno di loro, un licantropo appunto, si innamora (a causa del temibile e potente influsso dell’imprinting) di una neonata, alla quale non viene neanche data la benché minima possibilità di scegliersi, in futuro, un compagno per conto suo. Tutto ciò non ha poi molto peso: ora Bella ed Edward sono felici insieme, possono godere per l’eternità delle gioie del sesso (perché, come insegna la puritana Meyer, chi diventa vampiro diventa automaticamente ninfomane) e vivere fino alla fine dei tempi l’immutabilità della loro perfetta vita.

Autore: Lucia Mancini
Pubblicato il 22/01/2015

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