Parker

Un film di Taylor Hackford o di Jason Statham? Difficile a dirsi, dal momento che la carriera dell’attore inglese ha intrapreso ormai una direzione a senso unico all’interno dell’action statunitense, in grado di inserirlo alla perfezione all’interno dell’eredità lasciata dai corpi e dai volti degli anni Ottanta (poi tutti felicemente riuniti nella saga de I mercenari, non a caso). Presenza scenica indiscutibile, la sua, in grado di compensare un’espressività monocorde ai limiti del sopportabile: ma il bello in fin dei conti è anche questo, e questa sua perseveranza all’interno del genere è di quelle che meritano rispetto, anche e soprattutto in termini di coerenza.

Più che un film con Jason Statham, quindi, Parker è un film à la Jason Statham, nel quale Hackford mette al servizio tutta la propria professionalità di artigiano consapevole dei tempi e degli spazi richiesti dai canoni imposti dalla committenza. Il regista di Ufficiale e gentiluomo fa quindi quello che può, nel tentativo di stare dietro (letteralmente) al suo protagonista e, soprattutto, di svincolare il suo film da una scrittura grossolana e inefficace, costellata da improbabili digressioni e, inutile negarlo, stupidaggini belle e buone. Non che sia prioritario, ma volendo ragionare esclusivamente in termini di sceneggiatura, infatti, Parker si potrebbe liquidare benissimo come l’ennesimo action copia/incolla privo di qualsivoglia peculiarità. Dopo una rapina in un parco di divertimenti, il protagonista viene tradito dai complici e, creduto morto, risorgerà per compiere la propria vendetta nella ridente e assolata Palm Springs. Basterebbe una sequenza come quella della fuga dall’ospedale (ben lontana dalla follia lisergica di un Crank, ad esempio) per mettere a dura prova la sospensione dell’incredulità, se non fosse che, sorprendentemente, a un certo punto il film sembri quasi volersi trasformare in altro. In una commedia, ad esempio, con una Jennifer Lopez mai così inutilmente decorativa alle prese con il mercato immobiliare dei ricchi, e con il protagonista nei panni di un improvvisato magnate dell’Ecuador pronto a far scalpitare il cuore della bella. Ma è solo una parentesi, appunto, prima del prepotente rientro nei ranghi con la resa dei conti finale e la conseguente riaffermazione degli equilibri iniziali.

Sbilanciato e incoerente, Parker è indiscutibilmente un film nato vecchio, tenuto in piedi dal mestiere di Hackford e dalla verve di Statham, gli unici due elementi in grado di reggere sulle proprie spalle il peso dell’intera operazione. Quasi commovente nella sua ingenuità, e a – brevissimi – tratti divertente come solo alcuni fondi di magazzino sanno essere: di Parker resteranno nella memoria un incipit secco e coinvolgente, quasi da b-movie di venti anni fa, e un combattimento all’arma bianca nell’attico all’ultimo piano. Tutto il resto (svogliato strip della Lopez compreso) svanirà con l’apparire dei primi titoli di coda. Curiosità: il film è dedicato alla memoria di Donald E. Westlake, che sotto lo pseudonimo di Richard Stark scrisse tutti i libri della saga di Parker ma che, in vita, non permise mai l’utilizzo del nome originale del personaggio per gli adattamenti cinematografici delle sue opere (Senza un attimo di tregua e Payback – La rivincita di Porter).

Autore: Giacomo Calzoni
Pubblicato il 18/08/2014

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