Outrage Beyond

L'ultimo film di Takeshi Kitano, una riproposizione solo fintamente stanca, solo camuffata da esercizio meramente impiegatizio.

«Il cinema», ha detto una volta Takeshi Kitano, «è come una meravigliosa scatola di giocattoli con la quale gioco. Una scatola di giocattoli molto costosa, certo, e qualche volta mi vergogno di divertirmi tanto». E sì, siamo decisamente d’accordo con lui: in fondo, in profondità (diventata nelle sue immagini, nelle sue storie, nelle sue geometrie, sempre più superficie programmatica e beffarda, depotenziata e svuotata), il suo cinema è proprio questo. E chissà se, scusateci, appunto “proprio questo”, soprattutto ciò che abbiamo appena inserito in una parentesi, lo hanno capito mai quelli che «E solo mo’ v’accorgete che è sempre stato ‘na sòla?. Come quell’altro, Johnnie To…». Il loro punto di vista, in realtà, è comprensibile; certo, poi scovare chi fra questi mente, e un tempo, un tempo comodamente cool, era un campione nello sport della santificazione di Kitano, è un’altra cosa, sarebbe forse pratica anche assai divertente, ma qui non ci interessa. No, c’è che Kitano è ormai considerato un “bollito” anche da tantissimi che non si stancano di premettere, puntualmente, di averlo amato, perché fino a un certo punto, dicono, è stato senz’altro un Maestro, fra i più grandi. Un declino che, stando al coro da percentuali bulgare, ha avuto il suo inizio con Takeshis’, sprofondamento continuato con Glory to the Filmmaker! e Achille e la tartaruga, il suicidio, “la trilogia del suicidio artistico”, prima ancora del ritorno (disastroso, continua il coro) allo yakuza movie con Outrage nel 2010 e il suo sequel Outrage Beyond nel 2012, i due tasselli di quello che si completerà, anch’esso, come trittico.

Allora non c’è neanche niente da difendere ma, diciamo così, bisogna solo prendere atto di un determinato stato delle cose? E qui, ovviamente, Kitano diventa solo uno fra gli elementi di una domanda che si allarga. Anzi, cerchiamo di metterla “in bella”: tentare di leggere (anche fallendo, certo) il presente, dunque forse un possibile “dove stiamo andando” che abbraccia tante cose, come il cinema, come ciò che ora siamo, deve essere “compito” solo dei registi (o degli autori, se volete, così il campo si restringe ed è più facile capirci) o forse qualcosa, non la stessa ma quantomeno adiacente, in altre forme complementari, possono farla anche i critici? Perché probabilmente il punto vero è questo.

Ecco perché potremmo sostituire Outrage Beyond con un film, per dirne solo uno, e apparentemente lontanissimo, come The Canyons di Paul Schrader. Due film diversissimi, con storie che nulla c’entrano l’una con l’altra, ma che (si) pongono, in realtà, le stesse domande. Ecco perché Outrage Beyond non può che essere la riproposizione solo fintamente stanca, solo camuffata da esercizio meramente impiegatizio, di uno schema. Ed è soprattutto la violazione, di nuovo, di ogni sedimentazione da Maestro aureolato. Uno schema che quindi non può che essere trascinato, più che al prosciugamento, all’annichilimento di se stesso, con equilibri e coordinate che, si sa, primo o poi hanno il dovere di saltare, traiettorie definitive di un genere reificato, come il suo immaginario; meccanismo a cui non resta altro che ripetere, ancora e ancora, la sua messa in scena che è ormai pura inconsistenza, nonostante i morti, le pistole e il sangue, come tracce che rimangono perché elementi imprescindibili di storie fatte di rivalità e tradimenti fra “famiglie” rivali, come segni di un cinema, quello di Kitano, e di tutto un campionario di immagini, di forme, di stili, che già sono stati.

Ed ecco perché le palle da baseball che raggiungono violente eppure indifferenti il volto di un uomo fino a ucciderlo sono uno dei momenti che possono automaticamente far gridare al Kitano che fu, quello dei bei tempi. Ma è solo un riflesso condizionato, in un film lucidissimo che al contempo è spietato sberleffo, l’oltraggio. Kitano è un Omoto che ritorna cinque anni dopo – sembrava morto nel primo capitolo – e si ritrova nella guerra fra i clan Sanno e Hanabishi, con il detective Kataoka ancora a dirigere, falso e cinico, miserabile, sviluppi e cambiamenti di scene dell’insieme. Il finale del film è solo un to be continued. Lo è anche la fine del cinema, per Kitano.

Autore: Leonardo Gregorio
Pubblicato il 27/10/2014

Articoli correlati

Ultimi della categoria