Ogni maledetto Natale

Brutti, sporchi e cattivi, ma edulcorati

Dirigere un film corale è già di per sé un compito complicato. Farlo in tre lo è probabilmente ancora di più. E che succede se il coro di attori da dirigere comprende un numero elevato di maschere e caratteristi che volenti o nolenti fanno a gara per catalizzare lo sguardo e la risata dello spettatore? Il risultato potrebbe essere disastroso, la Storia lo ha dimostrato in molti casi. Così, per fortuna, non è andata per Ogni maledetto Natale di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, in compagnia di buona parte del cast dell’amata serie Boris, mettono in scena la loro apocalittica visione del Natale. Ma ci sono andati vicino.

Ora, se si dovesse esprimere un giudizio sintetico nei confronti di quest’opera intimamente costruita sul doppio e sulle simmetrie - due sono le famiglie, due sono i ruoli interpretati dalla maggior parte degli attori coinvolti, due sono i registri del comico e del buffo che si alternano sistematicamente durante tutta la visione - potremmo fare riferimento all’impietosa critica che Italo Calvino fece della commedia di costume anni ’60: "Nella più parte dei casi la trovo detestabile, perché quanto più la caricatura dei nostri comportamenti sociali vuol essere spietata tanto più si rivela compiaciuta e indulgente."

Potremmo di seguito chiamare in causa Goffredo Fofi che a Calvino rispose dicendo che "talvolta la commedia ha troppo perdonato, raramente ha davvero condannato, ma quando lo ha fatto ha lasciato un segno nel processo di civiltà e non di viltà che il Paese voleva affrontare". Pur non condannando realmente nessuno e pur non credendo nella sua "cattiveria" fino in fondo, Ogni maledetto Natale ha un pregio: è una commedia disillusa. Parliamo di una disillusione cosmica e pressoché totale, in cui i due giovani protagonisti sembrano essere gli unici esseri umani degni di salvezza in un mondo sull’orlo dell’estinzione. Il finale del film, con i due ragazzi che una volta scappati dagli opprimenti cenoni natalizi con le loro rispettive famiglie si ritrovano in uno sperduto rifugio tra i boschi di montagna potrebbe essere persino letto come la fuga di un’umanità superstite, spacciata, un baluardo di pace in cui trascorrere gli ultimi giorni felici rimasti mentre tutto attorno gli zombi avanzano e divorano tutto, inesorabilmente.

Al di la di questa lettura forse un po’ estrema c’è da dire che il discorso sotterraneo di Ogni maledetto Natale percorre in maniera piuttosto discontinua le faglie e le fratture della migliore commedia all’italiana, almeno per buona parte del film. A fronte di questo racconto fratturato vengono però rimessi in campo decisivi processi di mediazione e di sintesi: è infatti indice di dinamismo il fatto che l’opera in questione si muova nel terreno del comico e della parodia ma incorpori anche altri registri, come il grottesco e l’humour nero.

I riferimenti espliciti o involontari ad altro cinema sono numerosi: dai personaggi brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola alla saga dei vari Ti presento i miei passando per i tic del primo Carlo Verdone, e tutto, come da tradizione nella nostra commedia, è affidato al corpo e alle maschere dei "divi" coinvolti. E’ tuttavia proprio a causa dell’eccessiva libertà concessa ad alcuni caratteristi che i difetti di scrittura vengono alla luce in maniera man mano sempre più lampante durante lo svolgimento del film; mentre alcuni attori - in primis Valerio Mastandrea e Marco Giallini - cercano e conquistano una via della sottrazione e della misura anche in un contesto perennemente sopra le righe, altri si abbandonano all’eccesso, sovra-interpretando il proprio ruolo fino a rompere l’armonia faticosamente conquistata. E’ il caso, purtroppo, di Corrado Guzzanti, che sebbene sia considerato da chi scrive un genio della satira e ben più che un semplice imitatore, qui (come anche in Boris) esagera costantemente nel senso meno positivo del termine, tenta la via del tormentone (soluzione, temiamo, mutuata dai tanti anni di tv, dove invece funziona perfettamente) con il risultato di stancare l’ascoltatore un minuto dopo avergli indotto una potentissima risata; insopportabile sopra ogni altra cosa la sua caratterizzazione del maggiordomo filippino degna del peggior cinema post-coloniale.

In conclusione Ogni maledetto Natale sembra vicino a certe "commedie del boom", descrivendo una società che fa fatica a tenere saldi i suoi nuclei produttivi e simbolici; che si disarticola negli itinerari opprimenti del successo pericolante, nei percorsi ansiogeni della soggettività minacciata dalla perdita, negli intrecci acrobatici di maschere che purtroppo perdono di consistenza e si sclerotizzano in tipi anelastici. Peccato che, in sostanza, non lo faccia fino in fondo e perda via via il suo obbiettivo. Sempre che l’obbiettivo fosse quello.

In questo film le arcate del comico crollano nei detriti della farsa, e le migliori intenzioni finiscono per sfilacciarsi in una parata di tipi, anziché di personaggi. Peccato, perché comunque all’immaginario prodotto dal Boris-verso gli si vuole bene, e peccato perché un’intercalare come "Mondocazzo" pronunciato da Guzzanti è sì sublime, ma solo la prima volta.

Autore: Tommaso Di Giulio
Pubblicato il 06/12/2014

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