MedFilm Festival 2012 / Le repenti

Dalla Quinzaine de réalisateurs del Festival di Cannes il nuovo film dell’algerino Merzak Allouache arriva a Roma al MedFilm Festival. Il regista, che ha già alle spalle diversi lungometraggi, porta questa volta l’attenzione su un argomento non abbastanza approfondito in Occidente, e cioè l’impatto del fondamentalismo negli stessi paesi islamici, che determina un clima teso e opprimente in cui anche il vivere quotidiano diventa difficile e pericoloso.

Protagonista del film è Rachid, un ragazzo esponente della jihad che decide di distaccarsi definitivamente dal suo gruppo armato e tornare al proprio villaggio. Il giovane, etichettato come “pentito” (repenti in francese) può usufruire di un’amnistia offerta dal governo nel tentativo di mettere fine a una lunga scia di sanguinosi contrasti e violenti rancori. Ma la società – suggerisce lo sguardo amareggiato di Allouache – non è affatto pronta alla pacificazione: Rachid, arrivato al suo villaggio, viene quasi linciato dalla folla che lo insulta e lo chiama assassino. In seguito trova lavoro in un bar, dove il proprietario sembra a malapena tollerare la sua presenza, guardandolo sempre con diffidenza e sospetto. Le cose precipitano quando il ragazzo incontra un farmacista che riconosce come il padre di una bambina rapita e uccisa dal gruppo di jihadisti a cui era affiliato. Tormentato e indeciso, Rachid si mette in contatto con l’uomo, che è disposto a pagare purché gli sia rivelato il luogo dove è sepolta la sua bambina.

Allouache si avvale di uno stile piuttosto secco e asciutto, dal sapore documentaristico. Fotografa con precisione la realtà sociale di un paese bloccato in un’impasse dolorosa tra un passato e un presente fatti di instabilità e incertezza (dalla guerra civile degli anni Novanta alle più recenti rivendicazioni e proteste che hanno interessato gran parte del mondo arabo). Non ci sono né buoni né cattivi in questo racconto, e forse neppure un “pentimento” in piena regola da parte del protagonista; più realisticamente, ci sono delle persone sfigurate dall’odio e dal dolore, incapaci di fiducia, perdono o comprensione, ognuno – chi più, chi meno – con le proprie ragioni. Il punto di vista del regista vuole essere neutrale, distaccato. Resta difficile riconoscere nel viso di Rachid – gli occhi grandi, malinconici, spauriti – quello di un folle torturatore armato di kalashnikov e tuttavia il film, in fondo, non ci offre alcuna concreta possibilità di discolparlo. Allo stesso tempo le persone attorno a lui sono “vittime” (delle azioni criminose operate dai fondamentalisti) capaci però di cercare la giustizia solo attraverso la violenza stessa. La complessità di questa situazione sociopolitica ma anche umana e morale è descritta quindi con precisione e nitidezza.

Parlare dell’Islam e dei paesi arabi significa oggi, per un occidentale, non poter prescindere dal dramma dell’11 settembre. Con il rischio, ancora presente, di cadere in una dimensione popolata da “fantasmi mediatici” in cui la percezione delle cose è falsata dal panico e dalla paranoia e tutto può essere facilmente strumentalizzato. Europa e America, troppo prese a considerare il problema del fondamentalismo solo all’interno del rapporto Occidente-Islam, dimenticano insomma ciò che Le repenti ribadisce in maniera chiara e decisa, e cioè che certi estremismi, certe derive religiose e politiche, danneggiano anzitutto la stessa società in cui si generano, e a farne le spese sono come sempre le persone più deboli e indifese. Il film di Allouache ha quindi il doppio merito di riflettere su una questione politica (ma non solo) importante e di offrire al pubblico occidentale uno sguardo tutto interno su di una realtà sociale e politica che non è giusto considerare altra e distante solo quando fa comodo al nostro interesse economico.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 29/01/2015